Quelle cartoline-capolavoro sulla Venezia del grand tour

Alla Fondazione Braglia le guache settecentesche di Giacomo Guardi a confronto con le opere di Music

Quelle cartoline-capolavoro sulla Venezia del grand tour

Sul placido lungolago di Lugano, l'ingresso della Fondazione Gabriele e Anna Braglia, passa quasi inosservata. Del resto, fino a pochi anni fa questo elegante spazio espositivo era uno dei tanti istituti di credito del capoluogo del Canton Ticino. Oggi, a pochi passi dal Lac, la Fondazione Gabriele e Anna Braglia ospita parte della cospicua collezione d'arte dei coniugi italo-svizzeri. Non è una raccolta come tante altre e ce ne accorgiamo non appena incontriamo il dottor Braglia: ultraottantenne di grande piglio, già a capo di una grande industria farmaceutica, studi in chimica a Pavia, giovinezza «scapestrata» (parole sue) a Milano dove fa amicizia con gli artisti di Brera, vive in Svizzera dagli anni Ottanta. Ritrovatosi appena 24enne a dover raccogliere il testimone del padre a capo dell'impresa di famiglia, ebbe la fortuna di incontrare Anna, amata compagna per oltre 50 anni. Con lei il dottor Braglia non mette solo la testa a posto, ma condivide una passione smodata per l'arte. Se il primo pezzo della collezione (un Sironi) risale al 57, i Braglia negli anni si sono comportati come dovrebbe fare ogni collezionista degno di questo nome: hanno studiato, per poi seguire il proprio gusto e istinto. Dapprima si sono concentrati sull'arte italiana del Secondo Novecento poi sull'Espressionismo Tedesco (parte della loro importante collezione è esposta al Leopold Museum di Vienna) e su Zoran Music (1909-2005), pittore italo-sloveno. Ne è uscita così una raccolta variegata e poliedrica, di notevole prestigio. La signora Anna è mancata nel 2015 e la mostra ora allestita negli spazi della Fondazione è un omaggio alle sue grandi passioni: gli angeli e Venezia. «Mettendo a posto oggetti e dipinti di casa ho ritrovato, nascosti in librerie, tanti angioletti di legno intagliati che mia moglie aveva acquistato negli anni: mi sono parsi il contrappunto perfetto a questa mostra così lirica», ci spiega Gabriele Braglia. Muniti di una piccola lente di ingrandimento fornita dalla Fondazione, assistiamo così al felice accostamento tra il vedutismo veneziano settecentesco e le visioni novecentesche di Music: «Angeli a Venezia. Guardi e Music nell'universo di Anna Braglia» (fino al 21 dicembre) presenta al pubblico i nuclei di opere d'arte da lei maggiormente collezionati. Parliamo della più importante collezione di gouaches guardesche appartenenti a una raccolta privata qui posti in dialogo con 19 acquerelli di Music, realizzati all'approdo, nel 46, nella Serenissima, dopo aver subito l'internamento a Dachau. Il Guardi esposto è Giacomo, figlio del più celebre Antonio e a lungo vedutista sottovalutato: basta soffermarsi davanti a ogni suo dipinto per vedere invece quanto sia accurata la sua pittura. La sua Venezia settecentesca è vivace: ci sono le gondole che vanno e vengono, persone che camminano tra le calli, c'è una luce nitida e pura. Questa stessa luce si ritrova nei poetici acquarelli di Music: Venezia rappresenta il ritorno alla vita, l'incontro con l'amata Ida Barbarigo, la possibilità di poter dipingere ancora dopo il dramma della guerra.

Ai lati delle sale, degli angeli vigilano su queste magnifiche visioni, rese ancora più godibili da un sistema innovativo di illuminazione e dalla stampa ingrandita di dettagli dei singoli lavori che compongono, insieme ai quadri originali dei due artisti, un efficace allestimento.

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