Racket e jihadisti di Selinunte, la Molenbeek disperata di Milano

Case occupate a colpi di piccone e aspiranti terroristi islamici. Bernardo mette il dito nella piaga della periferia più derelitta

Racket e jihadisti di Selinunte, la Molenbeek disperata di Milano

Case occupate a colpi di piccone, covi jihadisti, rivolte anti-polizia. E poi racket, rifiuti, degrado estetico e non solo. Se a Milano c'è un luogo simbolo delle periferie fisiche ed «esistenziali», questo è piazzale Selinunte, vertice del quadrilatero della paura che attanaglia San Siro, quartiere anomalo in cui 50mila persone vivono divise fra zone residenziali e vecchie case popolari che cadono a pezzi e sono in mano al racket, come il clan egiziano sgominato ad aprile con 260 alloggi. Ha scelto il quadrilatero, e ha scelto Selinunte, il candidato sindaco del centrodestra Luca Bernardo, per mettere il dito nella piaga di un'amministrazione comunale che ha saputo, o voluto, neanche immaginare una rinascita. «Io incontro i cittadini - ha detto il medico - il sindaco uscente incontra rapper con precedenti. Bisogna che torni la legalità. Il sindaco Sala, qui, nessuno lo ha visto».

In effetti, ad aprile una rivolta balorda e criminale si è materializzata in una sassaiola contro le forze dell'ordine. In un sabato pomeriggio di restrizioni Covid, 300 giovani che si erano ritrovati in via Micene per partecipare alle riprese di video si misero a ballare e cantare sui tettini delle auto in sosta, e dopo essere fuggiti in Selinunte alla vista delle divise si ricompattarono iniziando un lancio di pietre, bastoni e bottiglie verso i poliziotti. Sala, in seguito, pensò di incontrare altri rapper, tutt'altro che irreprensibili peraltro.

Il quadrilatero fa paura da anni, e dopo il 2015 - anno degli attentati jihadisti di Parigi - è stato indicato come la potenziale «Molenbeek» italiana, per evocare quel sobborgo di Bruxelles che è sfuggito a ogni controllo per trasformarsi in una base di sanguinari attacchi terroristici che hanno colpito il Belgio e la Francia. Nel 2016 è stato arrestato in Libia il colonnello dell'Isis Moez Ben Abdelkader Fezzani, tunisino vecchia conoscenza di Milano: 9 anni prima, in un'ordinanza di custodia cautelare, era stato accusato di essere un uomo di Al Qaeda e di «organizzare la logistica dei mujaheddin provenienti dall'Italia accogliendoli presso la «Casa dei fratelli tunisini». La «Casa dei fratelli tunisini si trovava in un piccolo appartamento di edilizia popolare in via Paravia 84, mentre in una traversa (via Civitali) abitava Mohamed Game, il libico che nel 2009 si fece esplodere davanti alla caserma di piazzale Perrucchetti.

Nel 2018, uno studio condotto di «ItsTime», centro di ricerca guidato dal professore Marco Lombardi della Cattolica, aveva indicato i punti in cui «potrebbe più facilmente attecchire il fenomeno del radicalismo religioso»: San Siro, in particolare piazza Selinunte, Lorenteggio-Giambellino e Corvetto. L'anno precedente, denunciando le occupazioni endemiche di via Morgantini e del quadrilatero, il presidente del Municipio 7 Marco Bestetti, aveva tracciato lo scenario di un teatro di guerra, chiedendo «stivali sul terreno»: «Entrando in quei palazzi - avvertì - ci si rende conto che non c'è politica di integrazione o sociale che tenga. E se qualcuno sfonda le porte a picconate o con la sega elettrica, allora devi portare decine di agenti, svuotando interi palazzi in un colpo solo».

Bestetti - oggi candidato in Comune - ieri ha accompagnato Bernardo in piazzale Segesta, lo spartiacque fra il «nulla» che avanza e le zone residenziali.

«Invece di portare le periferie verso il centro, la sinistra ha fatto il contrario - ha spiegato in serata - E molte persone ormai denunciano situazioni allucinanti. In Selinunte non puoi intervenire col fioretto ma con la clava. La sinistra ha applicato la ricetta dell'accoglienza, della tolleranza, e così via. È ora di cambiare completamente approccio e di usare la clava».

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