Che nesso c'è fra il Giro d'Italia e il Teatro alla Scala? Nessuno, apparentemente. Salvo che, leggendo le notizie che riguardano queste due eccellenze, queste due gloriose tradizioni della più orgogliosa milanesità, un collegamento si coglie. Purtroppo, giacché si tratta di un collegamento su un terreno negativo. Cominciamo dal Giro, creato dalla milanesissima Gazzetta dello Sport, e gestito dal suo editore, ora Rcs, con Rcs Sport. Per decenni la corsa è partita da Milano, anzi da piazza Duomo, e quasi sempre a Milano si concludeva, con consegna di maglia rosa, coppa e bacio della miss al vincitore. Più recentemente almeno uno dei due momenti si svolgeva a Milano. Ma ormai il Giro non sfiora neppure la sua città natale, che ha contribuito a farlo diventare grande e a dargli visibilità internazionale. Quest'anno comincia addirittura in Irlanda, il via a Belfast e passa da Dublino, per concludersi a Trieste. A Milano neppure una tappa. Perché? Trascuriamo il messaggio presumibilmente pacifista delle tappe irlandesi, e parliamo dell'arrivo. Com'è noto gli organizzatori praticamente lo mettono all'asta, per la visibilità televisiva che dà alla città prescelta. Metodo discutibile ma libera scelta imprenditoriale di Rcs Sport - sebbene forse il martinitt Angelo Rizzoli avrebbe comunque avuto un occhio di riguardo per la sua Milano, ma parliamo di altri tempi. Fatto sta che ultimamente Palazzo Marino sembra poco interessato a tenere a casa almeno l'arrivo del Giro e fa - se le fa - offerte sparagnine, pare che l'ultima della giunta Pisapia fosse semplicemente ridicola, tanto da farsi battere da Trieste che certamente più ricca di Milano non è.
La Scala. Il cosiddetto decreto Valore Cultura, appena convertito in legge, in sostanza mette il teatro del Piermarini sullo stesso piano di qualsiasi teatro lirico di provincia, di fatto statalizzandone l'amministrazione (e ti saluto autonomia!) e limitandone le possibilità di finanziamento riducendo il numero dei componenti il consiglio d'amministrazione, che diventa consiglio d'indirizzo. È evidente che se un potenziale sponsor non può partecipare all'amministrazione non tira fuori un centesimo: una mazzata per la Scala, una punizione durissima non si sa per quale colpa, essendo, di fatto, l'unico teatro lirico con i conti in ordine. Adesso pare che il ministro Bray, che si è fatto le ossa gestendo il Festival della taranta a Melpignano, intenda rimediare alla mostruosa gaffe, ma non sappiamo come e quando. Fatto sta che il tempo intercorso fra l'emanazione del decreto e la sua conversione in legge non è bastato a Palazzo Marino per ricordare al ministro e alle competenti commissioni parlamentari che cos'è la Scala per l'Italia. E non è bastato perché ormai, se pure alza la voce, Palazzo Marino non riesce a farsi sentire. Così come non riesce a convincere gli organizzatori del Giro che quella corsa è geneticamente milanese e Milano merita, comunque, di essere tenuta in qualche conto. Cosa accadrebbe in Francia se il Tour non arrivasse all'Arco di Trionfo? È vero, Milano non è Parigi, eppure un tempo per il Giro lo era. Ma bisogna avere il senso della tradizione e l'orgoglio della storia di questa città per saperlo e comportarsi di conseguenza: sentimenti che è inutile chiedere a questa amministrazione, che altrimenti avrebbe scatenato un putiferio contro il nefasto decreto ammazza-Scala prima della conversione in legge.
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