Scarponi continua a pedalare per la sicurezza dei ciclisti

Da due anni la Fondazione creata dal fratello Marco si batte contro le stragi sulle strade e l'indifferenza

Scarponi continua a pedalare per la sicurezza dei ciclisti

«Michele era un campione, sapeva vincere e aspettare, un po' come capitano e un po' come gregario. Il suo dono per tutti noi è il richiamo all'attenzione e al rispetto sulle strade, affinché tutti, ciclisti e non, possano condividere quelle lingue d'asfalto troppo spesso infernali». E' dal 22 aprile di due anni fa che Marco Scarponi, il fratello di Michele, si è messo in strada. Una strada di dolore che, quasi con un miracolo, sta trasformando con la sua famiglia in una strada d'amore. Perchè qualcosa resti, rimanga per sempre. Perchè non ci siano più altri maledetti incroci come quello di Filottrano, perchè non ci siano più furgoni impazziti, accecati dal sole, distratti dai telefonini. Perchè non ci siano più «persone che vivono sentendosi in colpa perché possono continuare a vivere. E vivono nell'indifferenza» aveva detto Marco l'anno scorso sul palco del teatro dal Verme di Milano ritirando il premio Gianni Brera. E furono applausi ed occhi lucidi. Ma fu soprattutto uno schiaffo duro sul muso di chi il dramma degli incidenti che coinvolgono i ciclisti sulle nostre strade continua colpevolmente a far finta che non esista. E invece esiste eccome. Secondo i dati divulgati dalla Regione un paio di anni si muore in tutta la Lombardia e a Milano in particolar modo dove nel 2017 ci sono stati 58 incidenti mortali e oltre 7 mila feriti. Il maggior numero di incidenti avviene in città, ma il numero delle morti è maggiore sulle strade extraurbane dove i limiti di velocità spesso non vengono rispettati e dove si va sempre troppo veloce. Quella che si combatte sulle strade è una «guerra bianca» che l'anno scorso ha fatto in Italia più di 3300 morti in incidenti stradali tra cui 600 pedoni e 254 ciclisti. Bisogna invertire la rotta ed è ciò che sta provando a fare Marco Scarponi con la Fondazione intitolata a suo fratello. Un viaggio tutto in salita che un paio di sere fa ha fatto tappa a Milano, nei locali dell'Upcycle bike cafè, ormai punto di riferimento delle comunità pedalanti. «Non lasciatemi solo» aveva chiesto Marco in un appello che si speri diventi un tam-tam. E non l'hanno lasciato solo Paolo Pinzuti di Bikeitlia e di Marco Mazzei di Milano Bicycle Coalition. Non lo hanno lasciato solo tutti quelli che pedalano e tanti altri ancora. Per ricordare Michele, per una strada più giusta, perchè la vita è sacra e per mettersi al fianco di Marco scuotendo le anime e cancellando l'indifferenza. Pochi mesi fa sulla salita della Castelletta nella Marche, la cima Coppi di Michele, è stato inaugurato un cippo. Resterà lì a raccontare cosa è stato e cosa sarà per sempre il capitano dell'Astana. Racconterà un ciclista, un uomo, un compagno di avventura per tutti anche per chi non lo conosceva.

Racconterà il dolore di chi è rimasto, il tormento di chi non riesce a riempire il vuoto, la malinconia di un sorriso che fa venire i brividi: «Salite con la bufera o con il sole- aveva scritto Marco- guardate quel pezzo di cielo che è sopra i vostri caschi: Michele è lì e nelle gambe di chi pedala per una strada giusta e sicura». Ecco quello che resta.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica