
C’è stato un tempo in cui ci si fotografava davanti allo specchio del bagno con il Nokia 3310, la luce da obitorio e la faccia da lunedì mattina. Poi è arrivata l’epoca dei filtri, e l’umanità ha scoperto che bastava un tocco per passare da “sono appena sopravvissuto a tre notti insonni” a “sono pronto per un red carpet a Bali”. È così che sono nati i selficienti: esseri umanoidi che vivono nel proprio riflesso filtrato, dove ogni poro è una bestemmia e ogni rughetta è un difetto da cancellare con la grazia digitale di una mano tremante su FaceApp.
Si fotografano a ogni angolo, con luce dorata e citazioni motivazionali che nessuno ha chiesto, tipo: “Sii il sole nei tuoi giorni di pioggia.” Traduzione: “Guardami, ho messo il preset Valencia.” Le donne famose poi mettono i filtri sopra i lifting e il botox, se le incontri per strada non le riconosci (è lei? Non è lei? È la mamma? È la nonna? Ha venti anni? O settanta?).
Poi sono arrivati i memeficienti: evoluzione umoristica dell’egocentrico, che ha capito che se non puoi essere bello, almeno puoi essere ironico. Postano immagini di se stessi con didascalie autoironiche tipo: “Quando dico che va tutto bene, ma dentro sto bruciando come un toast dimenticato”. Vi dimenticheranno, state tranquilli, non resteranno neppure i vostri account.
È il sarcasmo travestito da profondità. È la malinconia che ammicca all’algoritmo che insegue noi che inseguiamo lui (quando scrivo “noi” è un modo per essere gentile, ovviamente intendo voi).
Ma ora siamo entrati in una nuova fase: quella in cui ognuno è diventato un’action figure di sé stesso. Corpi scolpiti da app, pose ispirate a copertine Marvel, mascelle disegnate con l’IA e occhi che guardano lontano, come se stessero riflettendo sull’esistenza… o su quale caption usare per il prossimo post. Infine, il trionfo: il conformismo pseudoartistico dell’intelligenza artificiale (conformismo, avere la stessa forma, fare le stesse cose, pensare le stesse cose, essere uguali). Dalle facce in stile Ghibli (dove pure il tuo commercialista sembra uscito da Il mio vicino Totoro) al fotorealismo drammatico stile Blade Runner con sottofondo epico. Tutti artisti, tutti anime, tutti bellissimi. Una generazione intera che grida: “Rendimi straordinario!” — non con l’esperienza, ma con un prompt.
Mezzo straordinario l’AI, ma usata in massa da persone più ordinarie di una scrivania da ufficio con i post it attaccati al monitor, di una pausa pranzo con una triste schiscetta salutista e conversazioni di calcio o politica, ordinari ma in 4K, seguendo il flusso di un copia e incolla e trasformami in ciò che non sarò mai, convincendosi di essere qualcosa, qualcuno, senza fatica. Ormai, il vero volto dell’umanità non è più nello specchio, ma nella cartella “Preferiti” di una galleria AI. E la cosa peggiore? Ci stiamo piacendo più lì che nella realtà.
Che forse non è neppure sbagliato, perché nella realtà non riusciamo a capire non dico la Recherche, tantomeno un giro di frase di Proust, ma neppure cosa è vero e cosa è falso, cosa è idiota e cosa no. L’importante è essere se stessi, reinventati dall’AI, tutti tali e quali. Come scriveva Sandro Penna: “Felice chi è diverso, essendo egli diverso. Ma guai a chi è diverso, essendo egli comune”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.