L’autodisciplina sui social è una delle sfide più avvincenti nel mondo della Rete. Nella preparazione di un post non bisogna osservare solo avvertenze di natura linguistica e formale. È necessario anche rispettare i principi deontologici che ogni categoria si sta dando per rendere più credibile il proprio lavoro agli occhi dell’opinione pubblica. Il dibattito su questi temi è molto vivace perché alcuni ritengono che troppe regole rischiano di limitare la libertà d’espressione; altri, invece, auspicano
codici di condotta molto puntuali per evitare che i social vengano utilizzati in modo disordinato.
Il nuovo codice di condotta sui social
“Vietato ledere l’immagine e il decoro della pubblica amministrazione sulle piattaforme tecnologiche e sui social network e stop a discriminazioni basate su genere, nazionalità, origine etnica, lingua, religione o credo, convinzioni personali o politiche, appartenenza a una minoranza nazionale, disabilità, condizioni sociali o di salute o di fragilità, età e orientamento sessuale”. Questo è uno dei passaggi qualificanti del decreto di modifica del Codice di comportamento per i dipendenti pubblici approvato di recente su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo. In altri termini, il dipendente pubblico non deve considerare i propri profili social alla stregua di una zona franca, ma “è tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale”.
Occhio ai commenti di terzi
I lavoratori delle pubbliche amministrazioni dovranno anche prestare attenzione a quello che altri pubblicheranno sul proprio profilo, in modo che le opinioni ivi espresse e i contenuti ivi pubblicati, anche se di terzi, non siano in alcun modo attribuibili all’amministrazione di appartenenza e non ne ledano, in alcun modo, il prestigio, il decoro o l’immagine. Il testo, tra l'altro, prevede la facoltà per l’amministrazione di svolgere gli accertamenti necessari a verificare il loro corretto utilizzo e a garantire la sicurezza degli stessi sistemi informatici, ovviamente nel pieno rispetto della privacy dei dipendenti. Un post sbagliato o sopra le righe su Twitter o Instagram o TikTok, tanto per citare alcuni dei social più diffusi, potrà quindi comportare per il dipendente pubblico una sanzione disciplinare.
Ma il Consiglio di Stato non ci sta
Le limitazioni all’uso dei social da parte dei dipendenti pubblici devono essere contenute, altrimenti c’è il rischio di una compressione della libertà d’espressione. È quanto ha chiarito alcune settimane fa il Consiglio di Stato, che ha praticamente bocciato lo schema di decreto del Governo contenente quelle modifiche al Codice di comportamento per i pubblici dipendenti. Quelle norme, così come sono state formulate, espongono i lavoratori pubblici, secondo il Consiglio di Stato, “agli eccessi degli spazi interpretativi d’intervento, ed anche alla connessa dubbiosità, per così dire, disparitaria, circa l’attivazione delle procedure disciplinari, di chi sarà preposto ad assicurarne il rispetto e a sanzionarne la violazione”. Ci sono cioè rischi per la libertà di manifestazione del pensiero dei lavoratori pubblici anche al di fuori del contesto lavorativo. Alla luce di tali rilievi, si renderà necessaria una revisione del testo.
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