Anche il lusso in frenata. Ma la Cina e le guerre non fermeranno la nostra "grande bellezza"

Covid e conflittualità globale hanno attenuato la spinta ai consumi, ma le previsioni sono per una ripresa del settore entro il 2025. Zegna: "Buone notizie dalla Golden Week"

Anche il lusso in frenata. Ma la Cina e le guerre non fermeranno la nostra "grande bellezza"

Da Lvmh a Kering, passando per Burberry e Richemont, sono numerosi i colossi della moda e del lusso che soffrono l'attuale fase di incertezza. Una congiunzione astrale di eventi difficili da prevedere, ha dato vita a uno scenario che è l'esatto opposto di ciò di cui si nutre il luxury. E ciò si traduce in un minore appeal del settore agli occhi degli investitori internazionali. L'indice S& P Global Luxury, che annovera al suo interno le maggiori società quotate a livello globale (tra cui 8 italiane), segna una flessione del 5%, in netta controtendenza rispetto all'azionario globale che segna progressi a doppia cifra. Naturalmente, non mancano le opportunità per l'industria della moda - che presenta un giro d'affari globale di circa 2mila di dollari - di tornare rapidamente in quota. L'intelligenza artificiale sta emergendo come un driver importante per il settore. Catturarne il valore richiederà agli operatori della moda di spingersi oltre l'automazione per migliorare il lavoro dei creativi. Inoltre, di fronte all'agguerrita concorrenza del fast fashion, il successo degli innovatori e degli operatori storici dipenderà molto dall'adattamento alle nuove preferenze dei consumatori.

Lo spaccato dell'andamento del settore è molto variegato. Inditex, proprietario di Zara e primo fashion retailer al mondo, così come la nipponica Uniqlo (terza al mondo) macinano utili e ricavi in crescita. Anche tra le big del lusso non tutti stanno soffrendo allo stesso modo con player quali Prada, Hermès e Moncler che hanno registrato buoni aumenti nelle vendite nella prima metà dell'anno. Tra quelli più in affanno figurano invece i marchi con maggiore esposizione al mercato cinese, fino a poco tempo fa epicentro della crescente domanda per i grandi marchi europei del lusso. I principali driver che negli ultimi anni hanno spinto la domanda cinese verso il lusso - quali crescita economica, boom della finanza e dell'immobiliare non sono più di supporto e la trasformazione in atto nell'economia oggi rappresenta un freno al comparto.

L'ultimo campanello d'allarme è arrivato da Lvmh, leader indiscusso del comparto del lusso con oltre 75 marchi di moda al suo attivo. Il giro d'affari del colosso guidato da Bernard Arnault ha registrato il primo calo trimestrale dei ricavi (-3%) dall'era Covid e i primi nove mesi dell'anno mostrano un andamento piatto. A mancare è stato proprio il piedistallo della domanda cinese con un calo del 16% delle vendite nella regione che include la Cina.

Oltre a una minore capacità di consumo dovuta all'attuale clima economico che mina la fiducia della classe media, di rimbalzo il fenomeno innesca la cosiddetta luxury shame (vergogna del lusso). In pratica, i cinesi con un patrimonio elevato, e quindi ampio potere di spesa, scelgono di non ostentarlo per paura di essere demonizzati mentre gli altri stringono la cinghia.

Un sollievo potrebbe arrivare dagli stimoli monetari annunciati da Pechino, visto che durante la recente festività della Golden Week cinese sono emersi primi parziali miglioramenti nei consumi di beni di lusso. Bisognerà avere pazienza, osservano gli esperti del settore. Ermenegildo Zegna, presidente e ceo dell'omonimo gruppo, vede il lusso in Cina continuare a vivere un periodo di debolezza anche nel 2025, pur professando fiducia in quanto «la Cina continuerà a essere importante per il lusso e la performance della Golden Week è stata, per il nostro gruppo, superiore alle aspettative e ha mostrato un miglioramento rispetto alla tendenza al ribasso del terzo trimestre».

In Italia la situazione non appare facile. Dopo gli anni di forte crescita post-pandemia - che hanno spinto il giro d'affari del Sistema Moda oltre il muro dei 100 miliardi di euro nel 2023 (4,7% del Pil) - l'attuale frenata propone nuove sfide. L'ultimo rapporto della Camera nazionale della moda italiana evidenzia un passo indietro del comparto del fashion tricolore con fatturato in calo del 6,1% nei primi sei mesi del 2024 e cali a doppia cifra nel mercato domestico, mentre l'estero segna una leggera crescita (2%). Non va dimenticato che il fatturato di inizio 2023 del comparto moda viaggiava al 20% sopra i livelli di gennaio 2020. La Camera della Moda ritiene che i primi segnali di ritorno alla crescita si vedranno nella seconda metà del 2025, con una ripartenza decisa nel 2026 grazie anche al traino di nuovi mercati quali Thailandia e Malesia.

Per Confartigianato, che non usa mezzi termini parlando di «crisi profonda» della moda italiana, le imprese della moda hanno registrato un calo del 5,3% dell'export nel primo semestre, pari a una perdita di 1,8 miliardi di valore. A soffrire molto è il settore calzaturiero, uno dei pilastri del sistema moda (l'Italia è il dodicesimo produttore mondiale e il primo nell'Unione) con circa 3.500 aziende e 73mila addetti. Nel primo semestre il calzaturiero segna una flessione del 9,1% del fatturato.

Prospettive solide, invece, quelle per l'e-commerce italiano della moda, atteso crescere da 16,4 miliardi nel 2023 a 36,3 miliardi nel 2029, con un tasso di incremento medio annuo previsto del 14% (stime Online Retail Report 2024 di FTI Consulting) sotto la spinta delle trasformazioni previste per il retail online grazie all'integrazione di tecnologie avanzate come AI e realtà virtuale.

Queste tecnologie stanno ridisegnando il modo in cui i consumatori interagiscono con le piattaforme online, offrendo esperienze di acquisto immersive e personalizzate che stanno diventando cruciali nel settore moda. In questo mondo emerge anche la crescente attenzione alla sostenibilità: i prodotti eco-compatibili rappresentano oggi circa il 20% delle vendite attraverso la rete.

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