Latitante in Italia, dove risulta condannato a causa del fallimento dell’azienda Rimini Yacht, Giulio Lolli nelle scorse ore è stato raggiunto da una condanna all’ergastolo a Tripoli, città in cui è fuggito nel 2010 con la propria imbarcazione.
È una storia molto particolare quella dell’imprenditore emiliano il quale, da “re degli yacht”, improvvisamente si trasforma in un fuggiasco che percorre all’incontrario la rotta libica: parte dall’Italia ed arriva in una Tripoli apparentemente ancora tranquilla ed ignara della guerra che da lì a breve sarebbe scoppiata.
Tutto inizia quando, per l’appunto nel 2010, la procura di Rimini chiede la custodia cautelare per Giulio Lolli. Secondo i magistrati, l’imprenditore proprietario della Rimini Yacht causa il fallimento dell'azienda, con un buco da ben quattro milioni di Euro che decreta la fine del suo impero economico.
Lolli quindi decide di sottrarsi alla cattura organizzando con la propria imbarcazione una rocambolesca fuga in Libia. Inizia quindi a vivere a Tripoli, al riparo dalle richieste di carcerazione provenienti dall’Italia. Almeno apparentemente: la polizia libica infatti lo scova all’interno di un hotel di lusso ed il governo di Gheddafi si prepara ad estradarlo. Ma in quelle settimane, scoppiano i tumulti e la Libia scivola nel caos.
Riesce a fuggire dalle prigioni libiche grazie ai disordini scoppiati durante i bombardamenti della Nato iniziati nel marzo 2011, da allora l’imprenditore italiano risulta molto vicino ai rivoluzionari. Non a caso, di Lolli si sa che fino al 2017 possiede una villa in collina non lontano da Tripoli e continua ad avere un tenore di vita molto elevato.
Ma nell’ottobre di quell’anno l’imprenditore torna nuovamente in carcere. Questa volta è la Rada, ossia la forza di sicurezza tripolina che risponde al ministero dell’interno del governo guidato da Fayez Al Sarraj, a portarlo in galera. Alcuni uomini lo prelevano dalla sua abitazione con l’accusa di collaborare con alcune milizie estremiste.
Addebiti molto gravi, che nella Libia di oggi potrebbero valere anche la pena di morte. Come precisa SpecialeLibia.it, gli inquirenti delle forze a sostegno di Al Sarraj avrebbero le prove di una collaborazione di Giulio Lolli con i terroristi del Consiglio della Shura dei rivoluzionari di Bengasi, una delle più temute sigle della galassia jihadista libica.
Con alcune imbarcazioni, Lolli avrebbe aiutato a trasportare armi e munizioni verso la Cirenaica. Un’accusa respinta nel 2018 dall’imprenditore che, in un’intervista rilasciata a Francesco Battistini del Corriere della Sera, rivendica invece la natura umanitaria delle proprie attività svolte con lo yacht. Lolli dichiara infatti di aver trasportato viveri e medicinali e di aver evacuato molti civili perseguitati a Sirte durante l’occupazione dell’Isis. In quell'incontro con il giornalista del Corriere, Lolli afferma inoltre di chiamarsi Karim e di essere addrittura il comandante della Marina di Misurata.
Ma per il tribunale di Tripoli, in realtà l’imprenditore italiano collabora con integralisti e separatisti di Bengasi. La pena di morte viene commutata in ergastolo, Lolli adesso si troverebbe in una prigione di massima sicurezza della capitale libica.
“A quanto mi risulta, l’accusa di terrorismo non è fondata –
dichiara su SpecialeLibia.it il suo avvocato Antonio Petroncini – Io però non l’ho seguito per le vicende libiche. Quello che posso dirvi, è che speriamo che si creino le condizioni affinché possa rientrare in Italia presto”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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