Cosa si nasconde dietro l'ossessione degli americani per le armi

Negli Stati Uniti il rapporto con le armi è sempre più morboso. Centrano leggi permissive, ma non solo. Ecco le vere ragioni di un rapporto complicato

Cosa si nasconde dietro l'ossessione degli americani per le armi

I fatti di Uvalde in Texas riaprono ancora una volta il dibattito sul possesso delle armi da fuoco e sulla loro diffusione negli Stati Uniti. Pubblichiamo, per gentile concessione dell'editore, un estratto de Il tramonto del sogno Americano, edito da Giubilei Regnani (clicca qui) nella collana curata da Andrea Indini, I tornanti. Il capitolo, che qui riproponiamo, affronta approfonditamente il tema delle armi da fuoco, dalla diffusione sul suolo americano al valore simbolico nella società.

Osservando in profondità il rapporto a tratti morboso tra armi e americani si si scopre quanto pistole e fucili siano intrecciati con la società. Partiamo da una manciata di numeri, ma prima un avviso: parlando di armi in America nessun numero è davvero certo. Tutti si aggrappano a stime e sondaggi. Per questo è impossibile stabilire quante siano davvero. Le rilevazioni più prudenti parlano di 265 milioni di pezzi, quelle più pessimiste (come quella del Small Arms Survey) parlano addirittura di 398 milioni di armi. Stando a questo secondo dossier, se da un lato gli Usa ospitano solo il 4% della popolazione globale, dall’altro hanno circa il 46% delle armi di proprietà civile a livello mondiale.

Chi possiede davvero le armi in America

Ma chi ha davvero una pistola o un fucile in casa? Anche qui abbiamo solo stime e calcoli approssimativi. Se teniamo conto che il 42% delle famiglie possiede solo una pistola o un fucile e che queste in America sono circa 120 milioni, significa approssimativamente che i quasi 400 milioni di armi in giro si trovano nelle mani di circa 50 milioni di nuclei famigliari. Qui salta all’occhio già il primo dato inaspettato: la concentrazione. Nel 1978, infatti, il numero di famiglie che aveva almeno un’arma da fuoco superava il 50% del totale. Quindi negli anni, mentre il numero di armi in circolazione aumentava, diminuiva il numero di possessori.

Ancora non si ha un’idea della distorsione se non si cita una ricerca importantissima che ha fatto scalpore qualche anno fa. Secondo le università di Harvard e Northeastern, la maggior parte dei proprietari possederebbe una “modesta” quantità di pistole: metà di loro ne avrebbe solo una, mentre il restante poco meno di tre. Il vero nodo sta nei super proprietari. Nel Paese infatti il 3% dei possessori di armi possiede qualcosa come 133 milioni di pezzi. Persone che ne possiedono dagli otto ai 140, con una media di 17 l’uno.

Com’è possibile che non ci sia un numero certo delle armi in circolazione? Qui bisogna tornare al 19 maggio 1986, quando il Congresso approva il Firearm Owners Protection Act (Fopa), una legge spinta dall’NRA, la potente lobby delle armi che in quegli anni vira su posizioni radicali. Il provvedimento rimuove gran parte delle restrizioni sulla vendita di pistole e fucili, ma soprattutto proibisce allo Stato federale di creare una banca dati per registrare i possessori. Il Fopa chiude una stagione liberal iniziata solo 18 anni prima con il Gun Control Act, una legge che limita il commercio delle armi, voluta dopo la stagione di sangue che porta alla morte di Martin Luther King e Robert Kennedy.

L'origine del rapporto morboso con le armi

L’allargamento delle maglie dovuto alle nuove leggi da solo non basta a spiegare perché negli Usa circolino tante armi e sopratutto si muoia così tanto a causa loro, con circa 29,7 omicidi ogni milione di persone. Spesso siamo spinti a vedere solo la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più profondo. Columbine, Virginia Tech, Aurora, San Bernardino, Orlando, Parkland sono nomi a cui nel corso degli anni abbiamo imparato a dare significati sinistri. Sono la sede di alcune delle più grosse sparatorie di massa della recente storia americana. Per noi italiani, noi europei, le mass shooting sono il problema delle armi. Ma questa è solo una parte del fenomeno. La galleria di freddi killer, da Adam Lanza a Stephen Paddock, autore della sparatoria più sanguinosa della storia americana, a Las Vegas, il primo ottobre del 2017, con oltre 60 morti e 868 feriti, è solo un lato della medaglia. Per iniziare a capire qualcosa bisogna tornare indietro nel tempo, alla frontiera e alla nascita degli Stati Uniti.

Per i pionieri dell’Ottocento avere o meno un fucile è questione di vita o di morte. Avere un’arma da fuoco non è solo una questione di difesa (magari dagli agguati indiani), ma anche di sopravvivenza perché era lo strumento prediletto per cacciare. La grande migrazione verso Ovest e l’insediamento in nuove terre richiedono tempo per disboscare, dissodare la terra e avere il primo raccolto. E quindi serve selvaggina fresca per sopravvivere. È così che già alla nascita del Paese le armi da fuoco diventano uno strumento sempre presente nella storia e nella cultura degli americani.

Il tramonto del sogno americano

Le 4 ragioni per possedere un'arma

Le armi da fuoco sono ormai un elemento che fa parte della cultura americana, la influenza e ne viene influenzato. Negli ultimi anni le scienze comportamentali hanno provato a capire quanto sia radicato il rapporto con fucili e pistole, scoprendo come gli americani vi attribuiscano significati molto profondi e anche molto diversi. A un primo livello c’è quello dell’aspetto ricreativo, legato allo sport, che nel tempo è andato via via esaurendosi. Il secondo invece è incentrato sull’autodifesa. Il terzo è ancorato al valore simbolico del famoso Secondo Emendamento, un articolo della Costituzione che garantisce ai cittadini il diritto di possedere armi.

Negli ultimi due livelli c’è la saldatura tra l’americano che si è ribellato agli inglesi, quello che ha attraversato la frontiera e quello che vive nell’America di oggi, post-11 settembre e in piena pandemia. La pistola diventa uno strumento per veicolare un insieme di valori importanti per un gruppo sociale. L’arma, al di là dell’utilizzo, rappresenta una certa idea di potere e addirittura una forma di libertà di espressione. Per anni, l’NRA ha creato una comunicazione basata sul fatto che tutte le libertà discendessero dal secondo emendamento e che solo questo garantisse la possibilità di essere liberi dagli oppressori. Non a caso questa retorica fa presa in zone come il New England, quella fascia nel nord Est che per prima insorse contro il Regno Unito e che nei secoli ha coltivato il mito della guerra rivoluzionaria con statue e musei. Basta vedere il motto di uno dei suoi Stati, il New Hampshire, per rendersene conto: Live Free or Die, vivi libero o muori.

Il problema dei fucili d'assalto

Ci sono passaggi chiave nella storia recente che ci aiutano ad avere un quadro più completo di quanto sia difficile dipanare la matassa intorno al fenomeno. Andrew Exum è un ex soldato. Oggi fa il consulente, ma in passato ha fatto parte del governo americano come vice assistente del segretario alla Difesa per il Medio Oriente. Subito dopo l’11 settembre, ha imbracciato le armi e combattuto in Afghanistan, dove è stato decorato al valor militare per la partecipazione all’operazione Anaconda, un tentativo nel marzo del 2002 di stanare Osama Bin Laden e al Qaeda dalle montagne di Shahi-Kot, a sud-est di Gardez, nei territori lungo il confine con il Pakistan.

Dopo la guerra è tornato in America per studiare e iniziare una carriera come civile. Qualche anno fa, ha raccontato uno dei momenti più stranianti della sua vita, avvenuto non tra le montagne della Persia, o nei deserti dell’Iraq, ma tra le strade dell’America profonda. «Stavo facendo un viaggio con mia madre da Chattanooga verso Nashville quando a un certo punto lungo l’autostrada ho notato una serie di cartelloni pubblicitari. Non promuovevano armi da fuoco normali come le pistole o fucili da caccia ma i fucili d’assalto che avevo portato in Iraq e in Afghanistan». Il racconto di Exum risale al 2008 e descrive molto bene il clima distopico che si respira in America dopo l’11 settembre.

Simbolo dello strano mix tra paura per la propria sicurezza e orgoglio ferito è l’AR-15, un fucile d’assalto che è la versione “civile” del MI6 in dotazione all’esercito americano. Il costo varia dai 600 ai 2000 dollari a seconda delle dotazioni, che vanno dai proiettili normali a quelli perforanti. Secondo le stime, perché numeri ufficiali non ce ne sono, ci sarebbero tra i 3 e i 4 milioni di pezzi nelle mani degli americani. Nel tempo l’AR-15 ha acquistato una triste nomea: da un lato, viene considerata l’arma delle sparatorie di massa; dall’altro, è diventata il più terribile killer di poliziotti. È stato usato nella strage al Pulse, ad Orlando in Florida nel 2016, a Parkland nel 2018, a Las Vegas nel 2017, nel cinema di Aurora, in Colorado, nel 2012 e nella strage da cui siamo partiti, la scuola di Sandy Hook a Newtown in Connecticut.

Dopo ogni strage parte la campagna sul controllo delle armi, ma nessuna amministrazione è mai riuscita davvero a porre un freno. Ogni volta si manca il punto centrale del discorso: certe armi non dovrebbero proprio circolare. Diversi veterani hanno messo in luce come la circolazione dei fucili d’assalto come l’AR-15 sia folle. Come spiega lo stesso Exum: «L’esercito lascia che giovanissimi imbraccino questo tipo di fucili, ma solo dopo una lunga selezione e un addestramento intensivo». All’interno degli ambienti militari ed ex militari i dubbi su come vengono gestite le armi negli Stati Uniti sono molti. È utile citare i loro esempi perché sono la dimostrazione di come il dibattito sulle armi in America non sia solo una questione tra repubblicani, armati fino ai denti, e democratici ultra liberal che vorrebbero abolire il secondo emendamento.

C’è una complessità di fondo che spesso non si coglie. Veterani e membri dell’esercito, che non possono essere considerati come pericolosi sovversivi, da tempo chiedono una stretta su alcune armi da fuoco, sostenendo che servono mesi per padroneggiarle a sufficienza. Una posizione in netto contrasto con quella della NRA che invece spinge perché ogni americano abbia accesso a qualsiasi arma leggera senza screening o addestramento. Il generale in pensione Stan McChrystal qualche anno fa ha preso carta e penna e scritto un lungo editoriale per il “New York Times” dal titolo perentorio: La nostra casa non dovrebbe essere una zona di guerra. McChrystal, famoso soprattutto per essere stato una figura centrale delle operazioni speciali all’estero, si è scagliato in modo trasversale contro una classe politica che è incapace di portare nelle strade la cultura dell’esercito, cioè la promozione di una cultura delle armi sana e in armonia con la società americana.

La nuova corsa alle armi

C’è un’ultima domanda alla quale non abbiamo risposto: oggi si acquistano più armi di un tempo? Se si osservano le tendenze la risposta è “sì”, dal 2001 in poi i numeri sono andati crescendo. Ma i dati ci dicono anche altro. Ad esempio che esistono flussi e riflussi nell’acquisto. Normalmente i picchi avvengono in due momenti distinti. Il primo, quasi paradossale, è nei giorni immediatamente successivi a una grande strage, come la storia di Rich. Il secondo è nei mesi successivi alle elezioni presidenziali. Non in tutte, solo in quelle che incoronano un presidente democratico. In entrambi i casi la paura è sempre la stessa: l’arrivo di una possibile stretta sulle vendite.

Con l’elezione di Joe Biden nell’autunno del 2020 il picco è tornato a verificarsi, ma questa volta ha mostrato un andamento insolito e preoccupante. Lo scorso anno in America sono successe due cose degne di nota che hanno impresso una nuova traiettoria al mercato delle armi. La prima, la più ovvia, è l’avvento della pandemia. Il secondo evento che ha cambiato le carte in tavola è stato lo scoppio delle proteste di Black Live Matters e le successive polemiche sulla brutalità della polizia e la necessità di tagliere i fondi ai distretti. Entrambi hanno avuto un forte impatto sulla sensibilità del popolo americano. Secondo un sondaggio, lo scorso anno il 6,5% degli americani, circa 17 milioni di persone, ha acquistato un’arma da fuoco, un dato in aumento rispetto al 5,3% dell’anno precedente.

Questo mix ha anche dato un nuovo volto al mercato delle armi. Secondo le stime, il 63% dei possessori di una pistola o fucile è maschio, il 73% è bianco, 12% ispanico e il 10% afroamericano.

Ma gli ultimi numeri sugli acquisti del periodo pandemico mostrano come, tra i nuovi proprietari, la metà fosse donna e il 40% fosse composto alla pari da afroamericani e ispanici. A preoccupare è anche un ultimo dato, cioè che tra il 2019 e il 2020 è diminuito il numero di persone che supporta leggi più restrittive in materia di circolazione delle armi da fuoco.

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