La curda e tutte le altre donne kamikaze

La combattente curda che si è fatta saltare in aria nei combattimenti contro l'Isis, in Siria, è solo l'ultima donna kamikaze

Arin Mirkan, la combattente curda che si è fatta esplodere tra i miliziani dell'Isis
Arin Mirkan, la combattente curda che si è fatta esplodere tra i miliziani dell'Isis

Ha destato un certo scalpore la notizia della ragazza curda che si è fatta saltare in aria accanto ad una postazione dei miliziani di Isis a est di Kobane, la città siriana al confine con la Turchia, uccidendo diversi jihadisti. È la prima donna kamikaze nella guerra contro l'Isis. Si chiamava Arin Mirkin ed era madre di due figli. Si sarebbe fatta saltare in aria dopo aver finito le munizioni.

Il fenomeno delle donne kamikaze non è nuovo. La prima che decise di immolarsi fu Sana Khyadali, una giovane libanese di 16 anni. Si fece esplodere il 9 aprile 1985 al volante di un'auto imbottita di tritolo, vicino ad un convoglio militare israeliano. Morirono due soldati. Fu la prima donna a commettere un attentato suicida in Medio Oriente. Tra il 1985 e il 1986 vi furono altre cinque donne kamikaze in Libano.

Negli anni successivi il fenomeno esplose in tutto il mondo (Sri Lanka, Israele, Cecenia, Turchia, India, Pakistan, Uzbekistan e Iraq). Nell'arco di un ventennio, tra il 1985 e il 2006, più di 220 donne kamikaze si sono fatte esplodere.

Furono due donne a far saltare la metropolitana di Mosca nel marzo, 2010, uccidendo 27 persone. Così come nel 2004 nel massacro della scuola di Beslan, nella repubblica russa dell'Ossezia (344 vittime tra cui 186 bambini), vi erano anche due donne. Nel 2002 tra i terroristi che sequestrarono 700 persone al teatro Dubrovka di Mosca erano diciannove le donne. Le "vedove nere" di Allah, così venivano chiamate le combattenti cecene disposte a tutto pur di vendicare mariti, i fratelli e figli morti in guerra.

Numerose le donne kamikaze anche in Iraq: la prima nell'aprile 2003, poco prima della caduta di Baghdad. Poi due anni di tregua, seguiti da un crescendo impressionante. L'ideatore delle martiri fu al-Zarqawi. Nel 2006 il governo iracheno diffuse un elenco di 122 aspiranti kamikaze fermate per tempo. Gli attentati sanguinosi furono numerosi. La provincia di Diyala, roccaforte della guerriglia sunnita, era considerata la fucina delle “fidanzate di Allah”.

Troviamo diverse donne kamikaze anche nello Sri Lanka, impegnate a combattere nel sanguinoso conflitto interetnico che ha visto contrapporsi per anni la maggioranza cingalese buddista e i tamil indù. Tra il 190 e il 2000 si sono registrati ben 168 attentati suicidi, con almeno un terzo delle circa diecimila tigri costituito da donne, per la maggior parte minorenni.

Fanatismo, ignoranza, voglia di riscatto. I motivi che possono spingere una donna a farsi saltare in aria sono, grosso modo, gli stessi che muovono un uomo. In più, come emerge da alcuni studi, gioca un ruolo importante, soprattutto nella cultura islamica, il desiderio di emencipazione della donna. In alcuni casi anche la disperazione per una vita piena di violenze e discrimanzioni. Il paradosso è che la discriminazione non trova fine nemmeno dopo il martirio. Il sussidio che un tempo veniva garantito alle famiglie delle donne-bomba era, spesso, la metà di quello dato alle famiglie degli uomini.

Arin Mirkin, l'ultima kamikaze donna morta, è un caso diverso dagli altri elencati sopra. Non si è immolata per compiere un attentato suicida. Lo ha fatto durante una battaglia.

Ormai non aveva pià munizioni (così ci hanno raccontato) ma lei non voleva cedere di un millimetro. E, soprattutto, non voleva essere catturata e diventare schiava dei miliziani dell'Isis. Così ha preferito la morte.

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