Era il primo dibattito televisivo dopo gli attacchi di Parigi e la strage di San Bernardino. E sul palco, inevitabilmente, i candidati repubblicani in corsa per la nomination si sono esibuiti in un classico "tutti contro tutti", com'era prevedibile e come è normale che sia. Ognuno ha offerto agli americani la propria ricetta per sconfiggere l'Isis: da Donald Trump che propone di ingaggiare "le nostre menti migliori" per fermare i terroristi su internet, al senatore del Texas Ted Cruz che cita Ronald Reagan a ripetizione, fino ad affermare che serve un "commander in chief" come fu Reagan rispetto al comunismo. Trump è apparso molto più pacato del solito, senza perdere la sua verve, almeno fino a quando Jeb Bush non l'ha punzecchiato. La vera sorpresa, se così si può dire, è stato proprio l'ex governatore della Florida: rispetto ai precedenti dibattiti è stato molto più attento e fermo nel difendere le proprie posizioni, esponendosi con forza fino ad innescare i botta e risposta con il miliardario newyorkese. Jeb Bush ha tenuto il punto senza cedere alle provocazioni, ed è andato all'attacco molto più del solito: "Non è seria" la proposta di Trump per uno stop all'ingresso di tutti i musulmani negli Usa, dice, "Trump è il candidato del caos, sarebbe un presidente caotico".
L'altra coppia che ha fatto scintille è stata quella Cruz-Rubio. Per l'intera durata del dibattito i due si sono rifilati continute gomitate, per imporsi a favore di telecamera come l'alternativa plausibile. Gli occhi erano di tutti, del resto, erano puntati su Ted Cruz giunto all'appuntamento trasmesso da Las Vegas in diretta sulla Cnn dopo un exploit nei sondaggi che lo ha visto addirittura scalzare Trump in Iowa. Un'attenzione simile l'aveva suscitato Rubio la scorsa volta. Così gli inseguitori di Trump sono andati allo scontro a più riprese e sull'immigrazione sono volate scintille: il senatore del Texas, beniamino dei Tea Party ha puntato il dito contro Rubio per le sue posizioni. "Quando c'è da combattere il terrorismo - ha replicato quest'ultimo - la sorveglianza viene prima dell'immigrazione" e ha accusato Cruz di aver votato per limitare i poteri della Nsa: "ha reso l'America meno sicura".
Qualcuno l'ha definito il dibattito da "commander in chief", con focus sulla politica estera, ma con protagonista la coppia Obama-Hillary. Perché il presidente e l'ex segretaria di Stato, ora candidata per la nomination democratica, sono stati citati in ogni occasione come esempio negativo: è loro la responsabilità per l'avanzata dell'Isis, secondo Carly Fiorina. Due "incoscienti", incalza Chris Christie. "Abbiamo bisogno di un commander in chief - incalza Ted Cruz - che faccia tutto il possibile per garantire la sicurezza dei nostri figli". E poi incalza: "Chiunque delle nove persone qui presenti (i candidati repubblicani ndr) sarebbe un commander in chief infinitamente migliore di Barack Obama o Hillary Clinton".
Jeb Bush, come dicevamo, è riuscito a far perdere le staffe a Trump. Dopo essersi stuzzicati per tutta la serata, col tycoon newyorchese che aveva mantenuto toni insolitamente bassi, l'ex governatore della Florida attacca. "Io sarò un Commander in Chief, non un Agitator in Chief" (comandante, non istigatore, ndr). Trump perde le staffe e attacca i moderatori, accusandoli di fare a Bush sempre domande su di lui. "Stai correndo per la presidenza - lo incalza Bush - e questo è un business molto duro". "E tu sei duro Jeb?", replica il tycoon. "Lo sono, lo sono", risponde ancora Bush, che di fronte a un Trump agitato non cade nella trappola della lite. Mostrando finalmente una certa freddezza rispetto ai precedenti dibattiti.
Da parte sua Trump ha voluto assicurare i repubblicani che non intende correre da indipendente ma che continuerà la sua campagna elettorale tra le file del Gop. Nei giorni scorsi erano emerse voci in questa direzione e lo stesso Trump lo aveva lasciato intendere. Ora, invece, sembra averci ripensato.
Nel dibattito in cui tutti hanno fornito la propria ricetta per distruggere l'Isis, c'è stato anche un altro tipo di attacco frontale, quello contro Trump, ancora in testa ai sondaggi. Il frontrunner è stato messo all'indice per le sue innumerevoli sparate, l'ultima delle quali è quella di aver chiesto il divieto di ingresso dei musulmani nel Paese. "Non possiamo dissociarsi dai musulmani che amano la pace", ha detto Bush. "Donald è grande nelle battute, ma è un candidato del caos e sarebbe un presidente del caos". Anche Rubio, che a sette settimane dall'avvio delle primarie nell'Iowa è in forte crescita, ha liquidato la proposta di Trump come impossibile da realizzare. L'uno dopo l'altro i candidati hanno snocciolato le minacce terroristiche, radicali, islamiste e jihadiste per interrogarsi, come all'indomani degli attentati dell'11 settembre, sul giusto equilibrio tra sicurezza nazionale e protezione delle libertà individuali e della vita privata, e hanno promesso fermezza e determinazione rispetto alla debolezza di Obama. Unica voce discordante, quella del senatore Rand Paul, rappresentante dell'ala libertaria del Gop: "Penso che se vietiamo alcune religioni, se censuriamo Internet, ad un certo punto i terroristi avranno la meglio".
Tutti i candidati sono apparsi compatti nell'attaccare Obama, ossessionato dal "politicamente corretto" e che ha messo a rischio le difese dell'America, per esempio accettando i profughi siriani: sul tema tutti hanno ribadito la lor opposizione all'accoglienza.
Da notare infine, che i due meglio posizionati nei sondaggi a livello nazionale, Trump e Ted Cruz, hanno sempre evitato la scontro diretto, schivando bene le provocazioni dei moderatori della Cnn, che ha provato a stuzzicarli, mettendoli l'uno contro l'altro, per infiammare il dibattito.
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