Francia, la crisi migratoria che Macron non vede

Il presidente Emmanuel Macron nega che l’Europa stia affrontando una crisi migratoria, che però è certificata proprio in Francia da istituzioni e media

Francia, la crisi migratoria  che Macron non vede

Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha affermato meno di un mese fa, nel pieno delle polemiche con il ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini, che in Europa “non esiste, oggi, alcuna crisi migratoria”. Il titolare dell’Eliseo ha dimenticato però di puntualizzare che l’emergenza migratoria esiste ed è gravissima proprio in Francia, e ad attestarlo sono per prime le istituzioni di quel paese.

La Francia è alle prese da anni con un aumento vertiginoso e costante delle domande di asilo. L’Ufficio francese per la protezione dei rifugiati e apolidi (Ofpra) - l’agenzia governativa francese competente in materia di asilo – certifica che lo scorso anno è stata infranta per la prima volta la “soglia psicologica” di 100mila domande di asilo; nei primi cinque mesi del 2018 l’Ofpra ha registrato un ulteriore aumento del 15 per cento su base annua. Lo stesso direttore dell’agenzia, Pascal Brince, ha parlato lo scorso anno di un aumento “storico” delle domande di protezione internazionale, pur aggiungendo che la situazione, per il momento, “resta gestibile”. La vera crisi del sistema di asilo francese, però, è causata da un sistema iper-garantista che prolunga anche di anni l’evasione delle pratiche; tale sistema si traduce, di fatto, in una “via legale per l’immigrazione illegale”, come denunciato di recente dal deputato francese Eric Ciotti.

Un recente articolo del quotidiano “Le Figaro” sintetizza la selva di scappatoie legali che consentono ai richiedenti asilo giunti in Francia di prorogare a tempo indeterminato la loro permanenza nel paese. Tanto per cominciare, sottolinea il quotidiano francese, gli immigrati che giungono in Francia, legalmente o meno, non sono sottoposti ad alcuna scadenza per la presentazione della domanda d’asilo. Ciò significa che un immigrato privo di documenti può risiedere illegalmente nel paese anche per anni, e ricorrere alla procedura di asilo come estrema ratio, ad esempio in caso di arresto. Una volta avviata la procedura di valutazione della domanda, che non prevede alcuna distinzione per gli immigrati giunti da paesi classificati come “sicuri”, la situazione si complica ulteriormente. La legislazione francese obbliga l’Ofpra a valutare le domande entro un massimo di sei mesi. Nel caso il diritto alla protezione non venga riconosciuto, però, il richiedente può presentare un’istanza alla Corte nazionale di asilo, che è costretta a sospendere la pratica e garantire assistenza legale. Nel caso anche la Corte esprima un giudizio negativo, scatta l’obbligo di lasciare il territorio nazionale, che però può essere contestato tramite un nuovo ricorso, questa volta presso la Corte amministrativa d’appello. Al termine di questa odissea legale, il richiedente asilo è libero di chiedere un nuovo esame della propria domanda all’Ofpra, ma anche di far valere ragioni accessorie – ad esempio sanitarie – per prorogare ulteriormente la propria permanenza in Francia. Questo ed altri artifici consentono ai richiedenti asilo di rimanere agevolmente sul territorio francese per cinque anni, superati i quali scatta la circolare Valls del 2012, che garantisce la regolarizzazione quasi automatica per ragioni familiari o di lavoro.

La dimensione reale dell’emergenza migratoria francese, però, può essere apprezzata soltanto tramite uno sguardo all’area grigia della clandestinità. Gli immigrati cui è stata rifiutata la protezione internazionale, ad esempio, dovrebbero essere collocati in centri di detenzione amministrativa in vista dell’espulsione. Nei fatti, sottolinea “Le Figaro”, le autorità francesi hanno preferito il ricorso sistematico agli arresti domiciliari; almeno sino allo scorso ottobre, quando un tunisino cui era stato negato l’asilo politico ha ucciso due giovani donne alla stazione Sain-Charles di Marsiglia. Il periodo di detenzione massima presso i centri di detenzione è di soli 90 giorni, ed era ancora inferiore prima della nuova Legge sull’immigrazione e l’asilo; la capienza complessiva delle strutture disponibili, però, è di appena 1.500 posti, ormai esauriti. E’ inoltre ancora in vigore in Francia una norma del 2016 che ha ridotto ad appena 48 ore il margine temporale a disposizione della Polizia per l’esecuzione dei decreti di espulsione. L’organizzazione delle espulsioni è un’altra nota dolente del sistema dell’asilo francese. Lo scorso anno, scrive “Le Figaro”, è comparsa sui social network una guida agli immigrati clandestini per evitare il rimpatrio, ad esempio minacciando il personale di sicurezza e i passeggeri degli aerei prima del decollo. Molti dei paesi africani d’origine dei migranti rifiutano inoltre di riprendere in consegna i loro cittadini; e questo nonostante l’Ofpra abbia intrapreso lo scorso anno un programma l’identificazione di rifugiati direttamente sul suolo africano, e il loro trasferimento in Francia a spese dei contribuenti.

In materia di immigrazione, dunque, lo Stato francese non brilla per efficienza, e ancor meno per trasparenza. Il ministro dell’Interno francese, Gérard Collomb, ha ammesso soltanto lo scorso novembre, durante la presentazione all’Assemblea nazionale del nuovo disegno di Legge sull’immigrazione, che in Francia risiedono “circa 300mila persone in una situazione di irregolarità”. Il ministro non ha fornito alcun elemento per corroborare l’attendibilità della sua stima, che appare però quantomeno ottimistica, almeno a giudicare dagli allarmi che giungono dal territorio. Soltanto la scorsa settimana, ad esempio, un rapporto parlamentare ha avvertito che gli immigrati clandestini rappresentano ormai “tra l’8 e il 20 per cento” della popolazione complessiva nel dipartimento della Senna-Saint-Denis. In quel territorio il tasso di povertà tocca ormai la soglia del 28 per cento, mentre la disoccupazione ha raggiunto quota 12,7 per cento, tre punti in più rispetto alla media nazionale. Il rapporto accusa apertamente lo Stato francese di “ignorare i suoi cittadini”. Sempre la scorsa settimana, l’amministrazione di Nantes ha lanciato l’allarme per il campo profughi abusivo sorto circa un mese fa nel perimetro cittadino: il campo ospita circa 300 immigrati clandestini, si ingrandisce di giorno in giorno ed è già divenuto in poche settimane l’epicentro di una pericolosa emergenza sanitaria. La situazione non è differente lungo le sponde della Senna, a Parigi, dove si stima siano accampati oltre 2.500 immigrati clandestini. A Calais, dove nel 2016 era stata smantellata “la Giungla” – l’enorme slum popolato di immigrati clandestini in attesa di attraversare il canale della Manica – la situazione è progressivamente tornata alla “normalità” dell’emergenza. Lo scorso febbraio la città è stata teatro di una battaglia all’arma bianca tra centinaia di immigrati clandestini, meno di due settimane dopo una visita in loco del presidente Macron. Appena un anno fa, il presidente francese si era impegnato a “togliere donne e uomini dalle strade entro la fine dell’anno”. La promessa, evidentemente, non è stata mantenuta.

L’opacità del governo francese, sottolinea il quotidiano “Le Figaro”, riguarda anche gli oneri finanziari legati all’immigrazione e all’accoglienza. Parigi non pubblica dati ufficiali in materia, fatta eccezione per i 318 milioni di euro formalmente assegnati alla voce “politica di asilo” nella Legge di bilancio del 2018. Jean-Paul Gourévitch, consulente internazionale sull’Africa e le migrazioni, ha pubblicato lo scorso marzo un rapporto secondo cui nel 2016 l’immigrazione illegale ha comportato per la Francia un deficit di 3,7 miliardi di euro in termini di costi assistenziali al netto dei benefici economici. Il dato che desta più scalpore, però, è quello relativo all’immigrazione legale, perlopiù connessa ai ricongiungimenti familiari: il costo netto per la Francia, in questo caso, è stato addirittura di 8,5 miliardi di euro nel 2016, anche se voci di spesa come l’istruzione e la formazione professionale in questo caso possono essere ritenuti un investimento. Un capitolo di spesa assai difficile da valutare è quello relativo ai richiedenti asilo in attesa di un responso. Nel 2015 la Corte dei conti ha stimato una spesa pro-capite di 13.724 euro, e di 5.528 euro per gli espulsi. Per questi ultimi, la spesa annua è ammontata nel 2015 a 368,82 milioni di euro, cui vanno a sommarsi gli 8 milioni stanziati per gli incentivi ai rimpatri volontari.

Un contributo non secondario al peggioramento della crisi migratoria francese non può non essere imputato proprio all’inquilino dell’Eliseo, e alle sue ondivaghe prese di posizione. Durante la campagna elettorale dello scorso anno, Macron ha promosso una politica dell’accoglienza, tesa a fare della Francia “il centro di un nuovo progetto umanista”. Il presidente francese ha elogiato lo scorso anno la decisione del cancelliere tedesco Angela Merkel di aprire le porte a oltre un milione di immigrati nel 2015: una decisione che a detta di Macron “ha salvato la dignità collettiva” dell’Europa. Nel luglio 2017, ad appena tre mesi dal suo insediamento, il presidente francese ha avvertito che 800mila migranti africani sono pronti a imbarcarsi dalla Libia alla volta dell’Europa, ed ha anticipato un piano per l’apertura di “hotspot” nel paese nordafricano, promettendo però, al contempo, una sistemazione per qualunque migrante arrivi in Francia “sin dal primo minuto”. Proprio lo scorso luglio, la Francia ha chiuso i suoi porti alle ong umanitarie che operano nel Mediterraneo; una scelta che meno di un anno più tardi il presidente francese ha contestato al ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini. In una intervista concessa lo scorso aprile, Macron ha presentato l’immigrazione dall’Africa come un fenomeno ineluttabile, ed ha ha citato “La corsa all’Europa”, l’ultimo libro dello scrittore e giornalista franco-statunitense Stephen Smith.

Nel suo libro, Smith afferma che entro trent’anni, gli “afro-europei” saranno tra i 150 e i 200 milioni, e caldeggia una “Eurafrica” accogliente e multiculturale, che “accetti pienamente la propria natura di terra d’immigrazione e il ‘meticciato generalizzato’”.

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