I nuovi muri

Per chi non se ne fosse accorto, la débâcle dell'esercito russo sul campo di battaglia ucraino ha innescato un'escalation nelle logiche con cui il Cremlino si approccia al conflitto

I nuovi muri

Per chi non se ne fosse accorto, la débâcle dell'esercito russo sul campo di battaglia ucraino ha innescato un'escalation nelle logiche con cui il Cremlino si approccia al conflitto. Ormai in quelle stanze che si affacciano sulla Piazza Rossa si parla di guerra all'Occidente e non più di «operazione speciale», la stramba espressione con cui il lessico putiniano aveva battezzato l'invasione. Usano il termine «guerra» appliccandolo ai valori, agli stili di vita, addirittura, alla religione, perché c'è bisogno di un pericolo grande per motivare di fronte ad un'opinione pubblica disorientata una mobilitazione generale.

Ma il dato più preoccupante è la combinazione tra i referendum sui territori occupati in Ucraina (Donbass, Lugansk e Crimea) e la nuova dottrina militare di Mosca sull'uso delle armi nucleari: secondo Putin ora sono utilizzabili non solo contro le minacce esistenziali e l'integrità territoriale dello Stato russo, ma anche su temi indefiniti come la difesa dell'indipendenza e della libertà. Un meccanismo del genere sottintende che se le popolazioni delle aree occupate dell'Ucraina decideranno di essere annesse al territorio russo, lo Zar è pronto ad usare le armi nucleari per difenderle, per non cederle nuovamente a Kiev. Teorie rivedute e corrette in una logica ancora più cinica di quelle studiate da Putin nelle scuole del Kgb.

Ora è anche possibile che quello di Mosca sia il bluff della disperazione, ma è evidente che queste teorie finiscono anche per cambiare i comportamenti degli Stati e delle persone. I Paesi confinanti, infatti, se non vogliono che un domani il Cremlino rivendichi altri pezzi dell'ex impero sovietico, devono evitare assolutamente che le truppe russe vi entrino (basta pensare alle Repubbliche baltiche): debbono, quindi, presidiare, fortificare i confini, creare una nuova cortina di ferro con la Russia. La prima conseguenza di questa assurda guerra, quindi, è che siamo tornati alla logica dei muri e ad una nuova corsa al riarmo. Ma le conseguenze non sono solo militari.

Eh sì perchè l'escalation sta scuotendo le coscienze di quei sudditi dello Zar che finora erano stati indifferenti al conflitto, perché non ne aveva cambiato più di tanto la vita: la mobilitazione generale ha infatti messo in ambasce in Russia tutti quelli che rischiano di essere arruolati per combattere una guerra di cui stentano a capire i motivi. Un po' come da noi l'aumento del gas ha raffreddato la solidarietà verso l'Ucraina delle categorie più colpite. Solo che un conto è pagare una bolletta più salata, un altro è rischiare la vita. Una condizione di pericolo inaccettabile per quei giovani o quegli ambienti russi che sono stati «contaminati», per usare un'espressione cara al Cremlino, dall'Occidente. Da qui la fuga generale dal Paese che viene segnalata da media e osservatori. Forse parlare di fuga sarà un'esagerazione, ma che ci siano i primi segnali del fenomeno e che l'insofferenza stia montando sono dati incontrovertibili: tutti vogliono espatriare prima che sia eretto il muro come nella Berlino del 1961. Ecco perché cominciano a serpeggiare forme di dissenso pubblico che fino ad un mese fa in Russia erano impensabili.

Se a questa situazione si aggiunge anche la stretta sui visti ai passaporti decisa da molti Paesi occidentali, è innegabile il ritorno ai muri di un tempo. Muri facili da costruire, ma difficili da abbattere come, appunto, ha insegnato Berlino.

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