Sono due i nomi delle persone che hanno fatto, anzi disegnato, il Medio Oriente: Sir Mark Sykes e François Georges Picot. Nomi che, forse, ci dicono poco, ma che nella fetta di terra di cui vogliamo parlare sono ancora studiati e guardati, nel migliore dei casi, di sbieco. Furono infatti questi due diplomatici che, nel pieno della Prima guerra mondiale, si misero ad analizzare le carte e a decidere che fare del Vicino Oriente dopo la fine dell'Impero ottomano. Gli incontri tra i due durarono dal 23 novembre del 1915 al 3 gennaio 1916 e, alla fine, si arrivò a una conclusione molto semplice: "Tirare una linea dritta dalla seconda K di Akko alla seconda K di Kirkuk". I territori che si sarebbero trovati a nord di questa linea immaginaria (Libano, Siria, la parte settentrionale dell'Iraq e quella meridionale della Turchia) sarebbero andati alla Francia mentre quelli a sud (gran parte dell'Iraq e la Giordania) alla Gran Bretagna. Tutti felici, tranne coloro abitavano in questi territori.
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IlGiornale.it e InsideOver sono al fianco della popolazione libanese. In questi giorni è partita una raccolta fondi per aiutare chi ha perso tutto nel disastro di Beirut. Chi è interessato a sostenere l'iniziativa può inviare una donazione tramite l’Iban che segnaliamo di seguito:
LB17007500000001140A72559800
Causale: L'Italia per il Libano
Nome del titolare: Charles Georges Mrad
Nome della banca: Bank of Beirut
Indirizzo: Bob - Palais de Justice Branch
SWIFT: BABELBBE
Oppure, con la stessa causale, si può inviare a:
VA35001000000048616001
Nome del titolare: Chiesa S. Maria in Campo Marzio
Conto: 48616001
BIC: IOPRVAVX o IOPRVAVXXXX
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Questo antefatto storico ci serve per capire come mai, subito dopo l'esplosione al porto di Beirut, il presidente francese Emmanuel Macron si sia fiondato in Libano. Certi legami infatti non si dimenticano. Come del resto non li aveva dimenticati nemmeno lo Stato islamico che realizzò uno dei suoi primi video per annunciare la fine dei confini tracciati con gli accordi di Sykes-Picot. In Medio Oriente non ci sono gli orologi, ma la gente si ricorda ancora dell'importanza del tempo. E della storia.
Non si può infatti comprendere ciò che sta succedendo in questi giorni in Libano se non si ripercorre, seppur brevemente, ciò che è successo negli ultimi decenni. Vale per tutti i Paesi. Vale ancora di più per questa nazione martoriata, per usare un'espressione di Robert Fisk. E così, se vogliamo parlare di Libano, dobbiamo parlare di un altro importante documento, questa volta del 1917: la dichiarazione Balfour attraverso la quale la Gran Bretagna appoggiò una possibile patria ebraica purché "nulla sia fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche già presenti in Palestina".
Passarono 30 anni prima che tutto ciò diventasse realtà. In mezzo il popolo ebraico dovette attraversare l'olocausto e il terrore di sparire dalla faccia sulla terra. Fu proprio il folle piano di Adolf Hitler a facilitare - per una singolare eterogenesi dei fini - la nascita di uno Stato ebraico. Era il 1948.
Mentre gli israeliani prendevano casa in Medio Oriente, gli arabi la lasciavano. Si mossero così verso il Libano, la Siria e la Giordania. Ma fu il Paese dei cedri a riceverne di più. E non sempre l'accoglienza fu facile: "Fin dall'inizio - scrive Fisk in Il martirio di una nazione - i palestinesi furono trattati con poca carità dai libanesi. Dato che molti profughi erano sunniti, i maroniti presagivano, a ragione, che si sarebbero trasformati in potenziali alleati dei musulmani libanesi".
Le divisioni settarie, infatti, erano state fomentate per anni dalle potenze straniere e, appena fu possibile, si scatenò l'inferno. L'occasione perfetta arrivò quando l'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) si trasferì in Libano, dopo esser stata cacciata da re Hussein di Giordania. Da qui Yasser Arafat preparava terribili attentati contro la popolazione ebraica. Israele stava aspettando il momento più opportuno per intervenire, che arrivò quando il maggiore libanese Saad Haddad chiese l'aiuto dello Stato ebraico.
Nel 1975 scoppiò la guerra civile. La convivenza tra i cristiani e i palestinesi, in particolare i miliziani dell'Olp, risultava impossibile. Un attentato contro Pierre Gemayel e la successiva vendetta accesero la miccia del conflitto. Si cominciò a sparare. La guerra si faceva non solo di casa in casa, ma anche con l'appoggio dei potenti vicini. I cristiani invocarono l'aiuto di Tel Aviv, che decise così di intervenire. "Gli israeliani - scrive Fisk - inviarono in Libano almeno 25mila soldati per attaccare questo disorganizzato esercito di poche centinaia di guerriglieri palestinesi. (...) Menachem Begin, il primo ministro israeliano, parlò della determinazione di Israele 'a sradicare l'erba cattiva dell'Olp'". E così fu. Ma ci vollero parecchi anni e massacri - ricordiamo per esempio quello di Sabra e Shatila - da una parte e dall'altra.
L'Olp scappò e riparò in Tunisia. Ma le ferite non si richiusero facilmente. Non si cancella da un giorno con l'altro un conflitto durato 15 anni. Anche perché negli anni Ottanta nacque, proprio durante la guerra contro Israele, una nuova milizia - Hezbollah, il Partito di Dio - che darà parecchio filo da torcere allo Stato ebraico.
Hezbollah nacque su spinta iraniana per unire tutti i gruppi sciiti presenti nel Paese dei cedri e avvicinarli alla rivoluzione khomenista con l'obiettivo di colpire "l'entità sionista" e porre fine alla presenza di "ogni potenza imperialista in Libano". Siamo nel 1982. L'anno seguente il Partito di Dio maciullò quasi 300 soldati (241 marines e 56 parà francesi) in un terribile attentato. Fu poi un'azione di Hezbollah, il 12 luglio del 2006, a provocare la Seconda guerra del Libano.
Quel giorno, gli uomini del Partito di Dio esplosero alcuni colpi di razzi Katiuscia contro alcune postazioni israeliane. Si trattò di un diversivo per lanciare l'attacco contro alcune Humvee di Tsahl che stavano pattugliando il confine. Fu una questione di minuti. Tre soldati vennero uccisi, due vennero feriti e due portati in Libano, dove moriranno poco dopo. La reazione di Israele non si fece attendere: colpì dal cielo con i bombardamenti, mentre le truppe avanzarono da sud. Furono colpite le infrastrutture principali del Paese e, in particolare, l'aeroporto Rafic Hariri dove si pensava che Hezbollah avesse un deposito di armi. Il partito di Dio colpì con i missili oltre il confine, provocando la morte di decine di civili. Il 14 agosto, poco più di un mese dopo l'inizio del blitz di Hezbollah, terminò il conflitto. Oltre alle vittime (circa un migliaio da parte libanese) il Paese apparve come una grande piaga. Come ripartire?
I libanesi ce la fanno. L'economia poco a poco riparte, così come la politica che pare riuscire a trovare un accordo nonostante le divisioni settarie ancora forti. Nel 2011, un altro conflitto, questa volta in Siria, cambia gli equilibri del Libano. Migliaia di profughi si riversano nel Paese dei cedri, cercando, se non un futuro migliore, almeno di salvarsi la vita. E' il continuo travaso di popoli e culture in questo Paese. Verso il Libano e dal Libano. Tanti siriani si trovano ancora sulle strade di Beirut, agli incroci mentre cercano di racimolare qualche spicciolo. Spesso sono bambini o poco più.
Negli ultimi mesi la tensione tra Hezbollah e Israele si è fatta ancora più forte, complice l'ultima irruzione del Partito di Dio in territorio ebraico. Il solito scambio di minacce e poi il silenzio.
Riempito soltanto dall'esplosione del porto di Beirut, avvolta non solo dal fumo ma anche da tanti misteri che, però, sembrano pochi se si pensa che il Libano è il Paese in cui non esistono verità ma solo diverse versioni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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