Ostaggi non furono giustiziati "L'autopsia in Libia? Macelleria"

Scontro sull'identità dei sequestratori. La vedova Failla fa ascoltare una telefonata dello scorso 13 ottobre: "Ci hanno impedito di rivelarla". Ma Calcagno la smentisce

Ostaggi non furono giustiziati "L'autopsia in Libia? Macelleria"

La verità è lontana, confusa. All'Istituto di medicina legale del Policlinico Gemelli di Roma l'autopsia di Salvatore Failla e Fausto Piano potrebbe far luce sulla reale dinamica dei fatti. Il professor Vincenzo Pascali, direttore dell'istituto di medicina legale, Antonio Oliva e Tommaso Tartaglione provano così a rimediare al blitz dei medici libici che ieri hanno fatto l'autopsia nonostante le famiglie dei due tecnici uccisi non fossero d'accordo. Tutta la vicenda, d'altra parte, è contornata da una cortina di fumo che non permette di risalire alla verità. E gli ultimi dubbi si addensano su quei carcierieri che parlavano in italiano agli ostaggi.

Ad una settimana dalla morte le salme di Failla e Piano arrivano in Italia, al termine di lunghe trattative con i libici e attraverso modalità definite "penose" dal ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. Ma l'autopsia sui corpi è stata fatta a Tripoli e scatta l'ira dei familiari di Failla, che convocano una conferenza stampa per accusare lo Stato. Il legale Francesco Caroleo Grimaldi spiega che l'autopsia svolta a Tripoli, anche se alla presenza di un medico italiano, non dà alcuna garanzia: "Anche solo lavare un corpo in quelle condizioni comporta l'impossibilità di risalire alla verità". La versione che arriva dalla Libia è quella di una esecuzione con colpo alla nuca da parte di un gruppo legato allo Stato islamico. Per gli inquirenti italiani, invece, le vittime potrebbero essere cadute sotto i colpi delle milizie della municipalità di Sabrata impegnate in un'operazione contro il gruppo dei sequestratori.

Ciò che pare certo è che Salvatore Failla non è morto per un colpo alla testa. Sul suo corpo segni di proiettili allo sterno e alla zona lombare, dicono i medici legali Luisa Regimenti e Orazio Cascio, che non hanno potuto definire meglio l'arma che li ha uccisi a causa dell'autopsia fatta a Tripoli ("Una macelleria"). Anche Fausto Piano è morto per diversi colpi che lo hanno raggiunto nella parte superiore del corpo. In entrambi i casi, quindi, non si è trattata di una esecuzione. Sono state estratte però alcune schegge di proiettile che potrebbero aiutare a fare chiarezza.

Rosalba Failla racconta di un disperato appello del marito, probabilmente registrato, che i rapitori, rivolgendosi a lei in un italiano stentato, le fecero sentire in una telefonata dello scorso 13 ottobre. "Ciao sono Salvo, i miei compagni li hanno portati via, io sono rimasto da solo e ho bisogno di cure mediche, ho bisogno di aiuto - dice - parla con giornali e tv, vedi di muovere tutto quello che puoi muovere". Ma, spiega le donna, "dopo la telefonata mi è stato detto da chi stava lavorando al caso di non rispondere più al telefono, di stare zitti, di non parlare con nessuno dei rapitori. Mi sono rivolto al ministero degli Esteri e ci dicevano che a mio marito era stato imposto di dire così, ma secondo me Salvo mi chiedeva davvero aiuto, perché la voce era sofferente, sentivo che soffriva". Ma Filippo Calcagno, nel corso di un'intervista a Radio Anch'io, smentisce la ricostruzione della donna.

""Nessuno dei sequestratori parlava italiano - dice - però, ci dissero che siccome quelle registrazioni dovevano essere fatte in italiano... ci dissero di stare attenti di non dire altre cose che non fossero quello che veniva suggerito, perché c'era qualcuno che capiva quello che... perché loro dovevano farlo sentire a qualcuno".

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