La nuova crociata del politicamente corretto: contro le "persone belle"

L'ennesima crociata liberal è stata promossa dalle colonne del New York Times, con un editoriale firmato giovedì scorso da David Brooks

La nuova crociata del politicamente corretto: contro le "persone belle"
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In America è stata appena lanciata l'ennesima crociata liberal, promossa dal New York Times, quotidiano dichiaratamente progressista; stavolta, il politicamente corretto apre il fuoco contro le "persone di bell'aspetto", colpevoli di togliere opportunità ai soggetti privi di spiccati pregi estetici. La testata citata si è scagliata contro i presunti vantaggi di cui godrebbero in vari ambiti le persone belle pubblicando on-line giovedì scorso un editoriale, intitolato Perché è ok essere meschini con i brutti? e firmato dal proprio commentatore David Brooks.

Nella sua crociata contro il "lookism", ossia la tendenza sociale a privilegiare appunto i belli a discapito di chi ha un aspetto ordinario, l'autore denuncia il primo come una nuova piaga sociale e come un'ulteriore sembianza che la mentalità discriminatoria può assumere. Egli si è quindi domandato come mai tale grave fenomeno passi quasi inosservato al giorno d'oggi e come mai i social media restino in silenzio sulla questione nonostante diversi studi, sostiene Brooks, abbiano dimostrato le seguenti umiliazioni sofferte dai brutti: i non belli hanno meno chance di trovare un lavoro, di superare un colloquio di assunzione e di essere promossi a scuola; il loro divario salariale con i belli è pari o maggiore di quello fra i bianchi e gli afroamericani; i brutti guadagnano in media 63 centesimi per ogni dollaro guadagnato dai belli, perdendo complessivamente nel corso della loro vita quasi 250.000 dollari. "Gli effetti discriminatori del lookismo", accusa Brooks, "sono pervasivi. Una persona poco attraente perde quasi un quarto di milione di dollari di guadagni nel corso della vita rispetto a una attraente". A detta di altre ricerche citate sempre dall'autore, gli individui più attraenti hanno anche maggiori probabilità di ottenere prestiti bancari e di godere, su questi, di tassi di interesse agevolati. Le persone più attraenti, in aggiunta, sarebbero automaticamente considerate più competenti e intelligenti.

I danni del "lookism" sarebbero anche di natura penale, dato che uno studio del 2004 avrebbe rivelato, dichiara l'autore, che le denunce per discriminazioni sull'aspetto sono maggiori di quelle per la razza e che i criminali non belli che commettono reati minori tendono a essere puniti più severamente dei belli implicati nei medesimi guai giudiziari.

I mali del "lookism" verrebbero taciuti dai grandi mezzi di comunicazione e dal web poiché, ipotizza il commentatore, non esiste un'associazione nazionale dei brutti che faccia campagne di sensibilizzazione o forse perché questa variante di discriminazione è "talmente innata nella natura umana" che nessuno ne percepisce la gravità. Un'ulteriore spiegazione fornita da Brooks riguardo alla natura pervasiva e radicata dell'"aspettismo" poggia sul fatto che la società contemporanea "celebra in modo ossessivo la bellezza" e ignora di conseguenza gli effetti delle discriminazioni basate sugli apprezzamenti estetici.

L'unico possibile rimedio alle molteplici discriminazioni di cui soffrirebbero da anni i brutti e per portare a termine con successo questa crociata liberal è, a detta di Brooks, "cambiare norme e pratiche", prendendo esempio da aziende famose come Victoria's Secret, che ha mandato in pensione le sue modelle mozzafiato sostitutendole con

sette donne con caratteristiche estetiche le più diverse: "Se è Victoria’s Secret a rappresentare la punta avanzata della lotta contro il lookism, significa che tutti noi abbiamo parecchio lavoro ancora da fare".

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