Erdogan telefona al Papa per parlare di Gerusalemme capitale

Vaticano e Ankara, altrove divise, sono unite dalla condanna alla scelta di Trump

Erdogan telefona al Papa per parlare di Gerusalemme capitale

Appena tornato da un tour che l'ha portato in Sudan, Ciad e Tunisia, Paesi con cui la Turchia mira a stringere accordi ancora più stretti, nell'ottica di un impegno maggiore nel continente africano, il presidente Recep Tayyip Erdogan è tornato a occuparsi della questione di Gerusalemme, che di recente l'ha visto in prima persona contro la decisione degli Stati Uniti di riconoscere la città come capitale di Israele.

Dopo un breve colloquio telefonico a inizio dicembre, in cui il capo di Stato aveva parlato con papa Francesco della necessità di "evitare ogni cambiamento dello status quo" di una città sacra a tre religioni, i due leader sono tornati a confrontarsi, in una chiamata confermata dalla numero due della sala stampa del Vaticano, Paloma Ovejero, che ha aggiunto che è stato Erdogan a prendere l'iniziativa.

Su posizioni diametralmente opposte su altre questioni, a partire dal riconoscimento da parte del Vaticano del genocidio armeno, che Bergoglio aveva paragonato alle azioni di nazismo e stalinismo nel centesimo anniversario dei fatti del 1915, il Vaticano e Ankara condividono però la convinzione che la mossa decisa da Trump il 6 dicembre sia solo foriera di problemi per la regione mediorientale. Questa settimana il Papa è tornato a dire che il conflitto israelo-palestinese può risolversi solo con "due Stati all’interno di confini concordati tra loro e internazionalmente riconosciuti".

Nelle ultime settimane Erdogan ha continuato a battere sulla questione di Gerusalemme, trovando in Turchia un'opinione pubblica pronta ad accogliere la sua condanna e la scelta di portare la questione all'Assemblea generale dell'Onu. Non sono solo i sostenitori del Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp) ad appoggiarlo sul tema, ma anche le opposizioni. Non a caso è anche dai banchi del socialdemocratico Chp, partito che fu di Ataturk, che è arrivato il provocatorio invito ad aprire un'ambasciata a Gerusalemme Est, in segno di riconoscimento per le istanze palestinesi.

L'ultimo mese ha messo a dura prova le relazioni Tra Israele e Turchia. Tradizionalmente alleate all'interno di un asse rivolto verso Occidente, le due nazioni erano arrivate allo scontro dopo il caso della flottiglia per Gaza nel 2010, risolto poi con un recente riavvicinamento.

La durissima retorica adottata da Erdogan dopo la decisione di Trump rischia ora di far precipitare di nuovo la situazione, ma se da un lato ci sono posizioni inconciliabili su Gerusalemme e ancora una volta l'ambizione di Ankara al ruolo di leader dei Paesi islamici, dall'altro i dati economici parlano di un aumento delle esportazioni verso Israele che da gennaio ha toccato il +14%. L'ostilità, nonostante le minacce, non tocca per ora gli interessi economici.

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