Il viaggio in Cile e Perù è stato il più insidioso per Papa Francesco dall'inizio del suo pontificato. Il clima di tensione venutosi a creare precedentemente all'arrivo del papa, di sicuro, non ha aiutato. Quella cilena è una nazione rinomatamente secolarizzata, in cui la Chiesa è finita sotto l'attacco di parte della popolazione per alcuni "atteggiamenti". Scandali, secondo il linguaggio utilizzato da chi vuole evidenziare la gravità di certe circostanze. Il Perù, invece, sarebbe una nazione persino più problematica da quel punto di vista, ma l'accento mediatico è stato posto sui casi di corruzione. Attentati alle Chiese, piazze semideserte, manifestazioni abortiste e vicende legate alla pedofilia perpetratesi negli ambienti ecclesiastici: quella del papa in sud America non è stata una vacanza. Basti pensare che Bergoglio è stato in qualche modo costretto alle scuse sul caso Barros, mentre si apprestava a salire sull'aereo di ritorno. Sean O'Malley, il cardinale posto a capo della commissione vaticana contro gli abusi ai danni di minori, aveva tuonato nella giornata di ieri: "È comprensibile che le parole di Papa Francesco siano state fronte di grande dispiacere per le vittime di abusi sessuali da parte del clero", aveva sottolineato il cardinale americano inviato a Boston da Giovanni Paolo II per fare pulizia dopo il caso Spotlight. Non l'opinione di uno qualunque, insomma. Barros è un vescovo cileno, accusato di aver coperto Karadima, che è stato invece riconosciuto tanto dall'autorità civile quanto da quella vaticana come colpevole di abusi. Francesco ha promosso Barros nella diocesi di Osorno nonostante il rapporto di un nunzio apostolico avesse invitato il cileno a prendersi un anno sabbatico. Servono prove evidenti, dice il pontefice, ma Barros comparirebbe in un elenco vaticano composto da tre vescovi colpevoli di "aver assistito o aver compiuto" gli stessi atti per cui Karadima è stato condannato a una vita di preghiere e penitenza. Per alcuni il papa si sarebbe "sdoppiato": da una parte l'adessione alla linea del nunzio, dall'altra la citata promozione.
Poi le piazze deserte, con le foto diffuse sui social dai tradizionalisti: "Ecco per esempio le foto (tratte dal sito del quotidiano Cileno "El Comercio", del 18.01.2018) della Messa nel Campus Lobito di Iquique, ultima tappa della sua visita in Cile. Aspettavano 300.000 fedeli, ma a fatica ne sono arrivate 90.000", ha postato Antonio Socci sul suo profilo Facebook. E ancora:"La quarta foto è stata scattata dall'alto il 17 gennaio e mostra l'incontro con i giovani al Santuario Nazionale di Maipu. Il vuoto, la desolazione....", ha chiosato il giornalista di Libero. Papa Francesco, che è il pontefice che più degli altri ha spostato gli equilibri del cattolicesimo "dall'altra parte del mondo", si è recato nella zona meno cattolica del sud America. Il Cile, insomma, non è come il Brasile. Bergoglio ha trovato tempo e modo di riscoprire il valore della "patria". In uno degli incontri con i giovani cileni, infatti, il pontefice ha invitato i ragazzi presenti a fare qualcosa di concreto per la propria nazione e ad assumersi la responsabilità delle origini. Un pontefice che, secondo i suoi ormai noti critici, accentuerebbe molto lo spirito patriottico in sud America, salvo tornare a promuovere il "globalismo" in territorio europeo. Il Cile, il Perù, ma anche l'Amazzonia, dove l'anno prossimo potrebbero essere gettate le basi di un'enorme svolta dottrinale: il Sinodo previsto dovrebbe avallare i "viri probati", cioè l'ordinazione sacerdotale per uomini sposati, ma di chiara fede cattolica. La crisi delle vocazioni, che interessa soprattutto l'Europa, potrebbe contribuire a importare questa soluzione persino dalle nostre parti. E poi i mapuche, la minoranza etnica che vive al confine tra Argentina e Perù ha chiesto al pontefice di condannare la Chiesa per quanto accaduto durante l'epoca dei conquistadores. Nella base militare di Maquehue, nel territorio dei mapuche, erano previste 450mila persone, ma ne sono arrivate solo 150mila. Il teologo del pueblo per antonomasia, insomma, potrebbe avere avuto difficoltà a riconoscere il suo popolo in una situazione tanto burrascosa. I movimenti cileni marxisti e le popolazioni indigene usano ancora associare la Chiesa a Pinochet. La legittimità della dittatura cilena, del resto, è stata propagandata anche per mezzo di una foto del dittatore affacciato ad una finestra a Santiago con accanto il pontefice polacco. "Quando il Papa era arrivato al palazzo, aveva trovato ad accoglierlo, a pianterreno, numerose autorità militari e civili. Invece il generale, con la moglie, lo attendeva al primo piano. Davanti – guarda un po’! – proprio al finestrone che dava sul balcone che dava sulla piazza gremita. Pinochet aveva salutato papa Wojtyla, e subito dalla piazza – evidentemente era scattato l’"ordine" – si era levato un gran clamore", ha raccontato Padre Tucci, che era l'organizzatore dei viaggi pastorali di Giovanni Paolo II.
Papa Francesco non ha avuto la "sfortuna" di imbattersi nelle strumentalizzazioni di un dittatore, ma ha comunque dovuto fronteggiare un clima caldissimo. L'armonia assoluta tra il pastore e il suo gregge, quella consonanza che si era potuta ascoltare in Colombia, Paraguay, Brasile, Ecuador e Bolivia, questa volta è stata interessata da più di qualche interferenza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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