Con poco cemento a Bukaru si può costruire una piscina. Si scava un buco di fianco alla propria casa ed è fatto. Poi per riempirla è facile: la stagione delle piogge e l’acqua trasportata dalle miniere d’oro, onnipresenti intorno all’insieme di piccoli villaggi che compongono Bukaru. Ma queste non sono piscine per farci il bagno. Sono pozze cementificate che valgono la vita di ogni focolaio di questo luogo sperduto in mezzo alla foresta pluviale del Camerun dell’Est.
Le miniere d’oro rendono il paesaggio di Bukaru un vero e proprio spettacolo lunare. Crateri riempiti di acqua marroncina si alternano a mucchi di terra che ormai sembrano colline e a qualche fortunato albero che non è stato sradicato. Qui, giovani, donne e bambini scavano con pale e piccozze per creare scaloni che facilitano la fuoriuscita della terra dalle fosse sempre più profonde. Una volta raccolta, la terra viene trasportata alle macinatrici del villaggio con ceste, carriole o sacchi di telo. Il loro rumore assordante è ovunque. Alcune case ne possiedono una, altrimenti chi non se lo può permettere, usa quella del vicino. A volte sono solo bambini piccoli che manipolano il marchingegno per ore e ore. “Quando hanno macinato la terra, per facilitare il filtraggio, la portano qui da noi alle piscine dove si comincia il vero lavoro per trovare l’oro” dice un ragazzo con i piedi immersi nella sua piscina mentre raccoglie la terra macinata dal secchio e la passa ad un'altra ragazza che si occupa di usare la “laveuse” (la lavatrice, uno strumento in legno posto al centro della piscina che serve da aiuto per smistare). Quando poi la filtrazione è terminata, allora bisogna rifiltrare una seconda volta fino a che, se si è fortunati, si potrà cominciare a vedere qualche risultato. “La terra che rimane è sempre pochissima, e questa è bollita per separare gli ultimi residui” racconta una donna che porta i segni del duro lavoro durante gli anni. Vende alcune banane di fianco alla sua piscina per arrotondare. La sua modesta casa di legno dovrà pur essere mantenuta intatta (con le piogge tante volte le abitazioni non reggono), e con i soli e pochi ricavi dell’oro non si può far fronte alle spese basiche.
Il villaggio è un cantiere unico. Le stradine si snodano attraverso piscine, fosse, macinatrici e qualche bar, dove le persone si riposano o chi possiede le miniere osserva il lavoro. Difatti le fosse non sono pubbliche, ma vengono spesso sfruttate da un gruppo di privati o un singolo che impiega gli abitanti pagati all’ora. La solidarietà permette anche agli abitanti che non hanno nessun “contratto” di tentare la loro fortuna. A volte devono affittare gli utensili dai privati, ma per i meno abbienti si fa un’eccezione.
Di fianco a Kambele, un quartiere di Bukaru, si può avere accesso allo spazio delle buche, attraversando un terreno accidentato. In cima ad una fossa, un uomo vestito in maniera elegante osserva un gruppo di 10 ragazzi scavare e gettare fuori la terra che poi verrà trasportata alle piscine: “Questi sono i miei ragazzi. Li pago per le ore che fanno e li metto a disposizione il materiale per scavare e la pompa per togliere l’acqua in eccesso che impedisce di prendere la terra dal sottosuolo dove si trova la materia preziosa”. I ragazzi sudano, sono sporchi di fango dalla testa ai piedi. Il sole picchia sulle loro teste in maniera insopportabile. “Di solito possono lavorare 5 ore senza nemmeno una pausa. Il lavoro è molto duro ma è retribuito”. Il datore di lavoro da normalmente una paga di 250 euro al mese per orari di lavoro massacranti. Un grammo di oro invece, vale circa 25 euro (che si vende sul mercato per un prezzo molto maggiore).
La grande miniera
A pochi chilometri da Kambele sorge un altro quartiere di Bukaru, controllato da Felix, il capo villaggio. La miniera che controlla è gigante. Solamente il diametro sarà più di 150 metri. Sul fondo sembra esserci un lago più che una pozzanghera. Il villaggio si affaccia direttamente sulla fossa gigante. Le abitazioni sono perlopiù capanne di foglie e la strada per arrivarci sembra una pista di moto cross dopo un temporale. Le centinaia di abitanti, come quelle di Kambele, si occupano del lavoro nelle miniere. “Qualche giorno fa ho fatto il colpo del mese. Ho trovato alcuni grammi di oro per un valore complessivo di 3 milioni di CFA (circa 4500 Euro). Sono riuscito a costruirmi una casettina e a comprarmi una motoretta. Spero sempre nella giornata giusta” afferma un abitante che ha costruito la sua casa vicino allo scosceso che porta alla miniera.
La miniera è separata da una strada in due grosse piscine, ma presto, verrà unita. Nell’acqua, sulle pareti, ovunque si vedono lavoratori vicino alle “laveuses” di altre dimensioni rispetto a quelle private di Kambele. “Solitamente, se si vuole usare una “laveuse” che è di proprietà di un privato, si deve pagare” dice Robert, un addetto di Felix. Gli abitanti pagano quindi ai privati per aver diritto a scavare e filtrare nelle lavatrici. In cima alla collina dalla parte opposta al villaggio si scorge anche una scavatrice gialla. “La persona che la guida è molto ben pagata, può percepire fino a 900 euro al mese. Lui sa esattamente dove scavare, e questa è una conoscenza che solamente in pochi possiedono”.
Ma nelle miniere non ci lavorano solamente operai o adulti. Molti sono i bambini, tante volte ancora adolescenti, che percorrono chilometri di strada dopo la scuola solamente per lavorare alcune ore in una miniera. Il loro obbligo morale è quello di far sopravvivere la famiglia, come Marcelin, solamente 14enne ma che dopo la scuola percorra 30 chilometri per andare in miniera. “Mio padre è morto ed è quindi un dovere, insieme a mia sorella, provvedere ai fabbisogni di casa. Dopo la scuola vengo qui a lavorare per un paio di ore ogni giorno e poi torno a Batouri, dove abito. Qualche volta ci sono delle macchine che aiutano gli operai a rientrare”. Marcelin vive e va a scuola a Batouri, ultimo polo commerciale del Cameroun orientale, prima di addentrarsi nelle strade sterrate e piene di buchi che fungono da assi commerciali fra il Congo, la RCA e Yaoundé. Bukaru è a 30 chilometri di distanza, ma la precarietà degli operai che vengono dalla città non gli permette di avere un mezzo con il quale spostarsi. Almeno lui ha la fortuna di poter andare a scuola. Molti genitori infatti, mandano i figli in miniera al posto di farli stare dietro un banco. “Lavoro qui anche durante le vacanze estive e quelle scolastiche” conclude Marcelin, sorridendo e mostrando i suoi denti bianchi che sembrano stonare così tanto con il fango che ha sulla faccia.
Una volta trovato l’oro, alcuni intermediari ritirano l’oro estratto ai lavoratori, pagandoli molto meno di quello che loro stessi ricaveranno sul mercato di Batouri. “Queste persone si fanno fregare. Non sanno nulla di quello che succede fuori da questa foresta e di conseguenza non conoscono nemmeno il prezzo dell’oro sul mercato internazionale, che è molto più alto” afferma Tito, un conducente di un’ambulanza nella regione dei campi.
La regione di Batouri, come in generale l’Est del Camerun è ricchissima in minerali, come d’altronde tutta la regione adiacente (Congo, RCA, RDC, …). Non è difficile quindi pensare che tutta questa ricchezza sia una delle cause principali dell’instabilità dell’Africa Centrale. In tutto questo il Camerun resta però un’eccezione. La politica di Yaoundé sembra essere quella di lasciare la regione ancora intatta, non permettendo quasi a nessuno di sfruttare le sue enormi risorse. La miniera di Bukaru rappresenta un vero punto minuscolo rispetto a tutto quello che potrebbe essere sfruttato. La regione dell’est rimane la meno popolata, la meno sviluppata ma di gran lunga la più ricca in risorse.
I rifugiati al lavoro
Qui, molti rifugiati della Repubblica Centrafricana hanno potuto riciclarsi nel mercato dell’oro, anche se non ai livelli di prima. “La vita era bella a Berberati. Avevo la mia miniera di diamanti, dove facevo lavorare dei giovani. Con meno di mille euro di valore potevo guadagnarne fino a 15 mila sul mercato internazionle a Bangui” afferma Isa Moussa, un rifugiato del campo profughi di Timangolo situato nell’Est del Camerun, a pochi chilometri dal confine con la RCA. Lui, come altri 200 mila Peuls (etnia nomade a maggioranza musulmana che si dedica soprattutto alla pastorizia ed è presente sia in Africa Centrale che in Africa Occidentale), hanno dovuto fuggire le persecuzioni perpetrate dagli anti-Balaka nella parte occidentale della RCA. Ha perso tutto quello che aveva e dopo 20 giorni di marcia è finalmente riuscito a mettersi in salvo, passando la frontiera. Come molti suoi connazionali, si dedicava al mercato che ha in parte causato uno dei conflitti che sta mettendo in ginocchio il paese, quello delle risorse minerarie.
Proveniente da Berberati (nell’ovest della RCA), Isa non ha trovato un territorio molto differente da quello di casa. Il sottosuolo della foresta pluviale è uguale, stracolmo di oro e diamanti. Molti ragazzini dei campi partono al mattino per alcune piccole miniere, aperte appositamente per sfruttare la mano d’opera di molti giovani disoccupati. Le miniere si trovano solo a qualche chilometro dai campi, ma quello che succede all’interno è segreto.
Anche Nassurussidi, un altro rifugiato del campo di Timangolo, era un imprenditore che finanziava soprattutto cristiani Baia (etnia presente anche in Camerun) per scavare. Questo non era però dovuto a discriminazioni religiose, ma solamente culturali. “Finanziavo dei Baia per scavare nelle mie miniere d’oro e diamanti. Per trovare l’oro si va più sul sicuro. Una volta trovato un giacimento, si può iniziare a scavare essendo certi di trovare almeno un po’ di materia. Ma per i diamanti è diverso. È una ricerca fatta a caso. Quando troviamo un polvere chiamata “poudre noire”, allora sappiamo che c’è il diamante. Ma non è certo che ce ne sia in tutta la zona”.
Durante gli ultimi 12 anni la regione orientale del Camerun è stato il rifugio per più di 200 mila rifugiati Peuls, che sono fuggiti dalla RCA per vari motivi (dapprima le esazioni di banditi Peuls scappati dal Camerun, poi dalle persecuzioni a sfondo economico, etnico e religioso da parte degli anti-Balaka, milizie armate formatesi per difendersi dalle brigate dell’ex-Seleka). Il conflitto nella vicina repubblica ha portato instabilità anche in Camerun, con varie incursioni di gruppi armati attraverso il confine, sequestri di persona, uccisioni e furto di bestiame, vitale per le popolazioni Peuls (pastori nomadi che si identificano con il proprio bestiame). Oggi l’agenzia per i rifugiati dell’ONU (UNHCR ha provveduto alla costruzione di 7 campi in territorio camerunese e altri in Chad, Congo e vicino a Bangui.
Queste popolazioni hanno sofferto troppo, molti di loro hanno camminato per 3 mesi prima di mettersi in salvo. Altre hanno visto morire i propri cari davanti agli occhi, a colpi di machete e pugnali, da persone con le quali fino a qualche anno prima avevano un rapporto normale. Arrivate in Camerun, sono state aiutate dai locali e dall’UNHCR. Oggi vivono sia nei campi che nei villaggi stessi e si sono integrati con la popolazione. Le miniere d’oro pertanto, rischiano di destabilizzare anche la regione camerunense se il governo deciderà di cominciare a sfruttare le sue ricchezze in maniera decisa. Sta di fatto che per ora, la minaccia più grande sembra essere Boko Haram. “Non ci sono le certezze, ma Yaoundé teme delle incursioni dei jihadisti attraverso il confine orientale, molto poroso dal momento che le stesse etnie vivono da entrambi i lati.
La frustrazione di queste persone inoltre, potrebbe velocemente condurre il gruppo fondamentalista direttamente vicino alla capitale. Per questo il governo chiede di spostare i rifugiati più lontani dal confine” commenta Josep Zapater, capo della missione dell’UNHCR a Bertoua, città principale dell’Est del Cameroun.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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