Nel cuore dell’East River, a poco meno di 4 miglia da Central Park, c’è una terra di nessuno. Un reticolo di palazzi e blocchi in cui la legge funziona a intermittenza. Non stiamo parlando di qualche isolato del Bronx o di zone dimenticate di Harlem. Al contrario, ci troviamo in uno dei complessi carcerari più grandi, importanti (e malfamati) di tutti gli Stati Uniti: il penitenziario di Rikers Island.
Rikers Island è un carcere famoso. Dalle sue celle sono passati anche personaggi noti come il rapper Tupac Shakur, il leader dei Sex Pistol Sid Vicious, ma anche Mark David Chapman, l’assassino di John Lennon, e non da ultimo Harvey Weinstein. Nonostante questo, da anni le storie che arrivano dalla prigione sono più simili ad alcuni episodi della serie Tv Prison Break. Ad altri, invece, ricorda il penitenziario di Arkham, presente in molti film e racconti di Batman.
Incidenti e rivolte
Per avere un’idea di questo “inferno in terra” basta addentrarsi nelle storie. Il 16 settembre scorso, un detenuto ha deciso di dirottare uno degli autobus usati per spostare la popolazione carceraria. Secondo le ricostruzioni, l’uomo sarebbe riuscito senza forzare niente ad alzarsi dal suo posto, entrare nello spazio dedicato al conducente e a mettere in moto, andando poi a schiantarsi contro uno degli edifici e danneggiandolo.
Ma i fatti più inquietanti sono quelli che avvengono all’interno. Ad agosto, un detenuto in attesa di giudizio ha rubato le chiavi a un secondino, ha liberato un secondo uomo e insieme hanno iniziato ad aggredire l’agente che per proteggersi si è rinchiuso in una cella. Una settimana dopo, un altro ospite della struttura ha scoperto che una delle sbarre della sua cella aveva iniziato a muoversi, corrosa dalla ruggine, permettendogli così di passare in una cella vicina per aggredire un altro internato.
Nel 2020, un detenuto è riuscito a uscire dalla sua cella, afferrare uno spray al peperoncino lasciato incustodito da una guardia e aggredire altri membri del personale. Nello stesso periodo, una dottoressa impiegata nel reparto di salute mentale è stata attaccata da un prigioniero, mentre nell’estate dello stesso anno un altro gruppo di carcerati, che si lamentava per non aver mangiato abbastanza, ha aggredito in blocco due guardie, costringendole alla fuga, e preso il controllo della mensa per diversi minuti.
Una storia difficile
Questi episodi, per quanto gravi, avvengono anche in altre carceri d’America. Come mai, quindi, solo Rikers Island ha una nomea così maledetta? Perché è tutto il sistema che sembra essersi inceppato. O meglio: non ha mai davvero funzionato. Costruito nel 1935, ha vissuto fasi alterne ma la progettazione e realizzazione fatta a basso costo hanno avuto effetti deleteri nella gestione dei detenuti.
La struttura è entrata in crisi già negli anni Settanta ma le fasi più complesse sono iniziate nei decenni successivi quando tutti gli Stati Uniti, New York compresa, hanno visto un aumento esponenziale della criminalità. Il periodo più buio ha coinciso con la grande epidemia di crack che si è consumata per le strade della Grande Mela a cavallo degli anni Novanta. Poi, con il calo progressivo dei reati, anche la pressione e le condizioni di Rikers Island si erano attenuate. Ma dal 2019 la situazione è deragliata di nuovo.
Nel 2021 ben 16 detenuti sono morti mentre erano in custodia tra le mura di Rikers Island a questi si aggiungono altre centinaia di persone ferite in modo più o meno grave al ritmo di 38 casi al giorno. Ma tutti gli indicatori sono in costante crescita: solo lo scorso anno le aggressioni contro i secondini sono state oltre 2 mila.
L'elemento forse paradossale è che questa ondata di crimini viene perpetrata da un gruppo ristretto di detenuti, la maggioranza non ha mai commesso atti violenti e la metà degli oltre 10 mila ospiti soffre di malattie mentali. In più la gran parte di chi si trova lì è in attesa di giudizio, magari perché non può permettersi una cauzione per uscire in attesa del processo.
Le aree fuori controllo
Nel tempo le proteste e gli incidenti non solo sono diventati all’ordine del giorno, ma si sono create le condizioni perché, tra gli otto blocchi di Rikers Island, intere sezioni del carcere finissero in mano ai violenti. In questi settori la polizia interviene molto di rado e i carcerati sono in grado di decidere chi può entrare e chi può uscire.
In altri casi, hanno libero accesso ad aree riservate al personale e, secondo alcune testimonianze, sono arrivati a rispondere a telefonate dall’esterno, prendendo il controllo di interi blocchi. Ma gli aspetti bizzarri non si fermano qui. Secondo un’indagine del New York Times, a settembre un gruppo di dipendenti civili, che dovevano prendere servizio, è stato accolto da una manciata di detenuti che si è offerto, dietro pagamento, di scortarli nei rispettivi uffici in sicurezza.
Quei stessi dipendenti hanno poi raccontato che per intere sezioni della struttura non c’erano guardie in vista, ma solo detenuti che si muovevano in regime di semilibertà. Una guardia, sentita dal Times, ha ammesso di aver smesso di confiscare armi, spiegando che spesso si trova a gestire da solo intere aree e che quindi, in caso di incidenti o sommosse, gli serve appoggio anche da parte di alcuni prigionieri.
Oltre a questo,altri agenti hanno mostrato deviazioni preoccupanti. Alcuni si sono accaniti in maniera violenta contro altri detenuti, picchiandoli selvaggiamente; altri si sono uniti a loro in atti criminali. Ben sette guardie sono finite sotto indagine per aver preso tangenti allo scopo di far entrare nella struttura droga, coltelli e cellulari.
Dopo alcuni incidenti avvenuti nel 2014, una scelta errata nella gestione dei detenuti ha complicato ancora di più le cose. I membri delle varie gang come i Bloods, Crips e Trinitarios sono stati isolati in blocchi specifici per evitare risse e contatti tra i gruppi. Ma questo li ha portati rapidamente ad aumentare la propria influenza e a prendere controllo di quelle stesse aree, ribattezzate poi come “case di sangue”. Qui i membri delle gang gestiscono gli accessi di nuovi detenuti e dei visitatori, controllano la distribuzione dei viveri, hanno stabilito un sistema di regole organizzato e hanno creato momenti di svago con violenti fight club.
La ritirata dei poliziotti
Ma come siamo arrivati a questo caos a due passi da Manhattan? In realtà le cause sono diverse e si trascinano da tempo. Come abbiamo visto, la struttura ha gravi carenze progettuali che ne hanno portato al deterioramento, e ogni tentativo di rinnovo si è sempre arenato. A questo si aggiunge un’endemica carenza di personale. Negli ultimi due anni, delle oltre 8 mila guardie assunte per tenere a bada i detenuti, almeno un terzo non si presentava, costringendo i colleghi a turni che potevano arrivare a 24 ore consecutive.
La carenza è dovuta soprattutto a speciali accordi tra i sindacati e l’amministrazione della prigione che prevedono permessi malattia illimitati e altre agevolazioni per assentarsi sul lavoro. Molte guardie preferiscono infatti essere messe in malattia per evitare di lavorare e ritornare a Rikers Island. Non solo. Negli anni non è mai stato trovato un modo per gestire le mansioni.
L’anzianità ha permesso a molti di lasciare gli incarichi più pericolosi, di fatto facendo finire gli agenti più giovani e inesperti direttamente a contatto coi detenuti; mentre altri sono stati dirottati a mansioni che nulla hanno a che fare con la gestione della popolazione carceraria, come compiti di autista, centralinista, ma anche controllori della falciatura dell’erba o supervisori di sartorie e panetterie.
Eppure non mancano i poliziotti nello stato di New York. L’Empire State è uno di quelli con il più alto numero di guardie per detenuto. Ad esempio, ci sono più agenti qui che guardie carcerarie in servizio a Indianapolis e Jacksonville messi insieme. Non solo. La prigione è anche un buco nero della finanza pubblica. Con un costo anno di 400 mila euro per detenuto, che è il più alto di tutti gli Stati Uniti, ben sei volte la media nazionale.
L’avvento del Covid
L’arrivo della pandemia ha mandato in frantumi gli ultimi aspetti funzionanti della prigione. Il personale ha continuato a rimanere rarefatto, mentre i nuovi arrivi di prigionieri sono aumentati. In questo modo, le pratiche di accoglienza si sono allungate, arrivando a durare giorni, con persone messe a dormire ovunque, persino nelle docce. Nemmeno il rilascio di 1.500 persone in attesa di giudizio ha allentato la pressione e posto fine al caos. Un report di fine ottobre del governo federale ha scritto nero su bianco che la carenza di personale e i limiti della struttura hanno di fatto compromesso la sicurezza di chiunque si rechi sull’isola.
Tutto il complesso è una prigione per crimini statali, quindi possono essere internati sia criminali newyorkesi che provenienti dal resto dello Stato. Allo stesso tempo, l’amministrazione ricade solo sulla Grande Mela. Questo complicato intreccio ha burocratizzato l’emergenza, di fatto rendendola irrisolvibile.
Oggi, sul banco degli imputati per il disastro di Rikers Island sono finiti un po’ tutti. I sindacati per la gestione non ottimale dei permessi e del personale, ma soprattutto l’amministrazione cittadina. I sindaci, soprattutto democratici, che si sono susseguiti alla guida di New York, non hanno mai affrontato seriamente i problemi dell’isola.
L’ormai ex cittadino Bill de Blasio ha fatto solo vane promesse, ma ogni volta che la stampa lo interrogava sul caos si rifiutava di rispondere. Oggi la palla passa all’ex poliziotto Eric Adams che dovrà decidere se riformarla o chiuderla del tutto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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