Il nuovo Super Martedì consacra le aspirazioni di Hillary Clinton e Donald Trump. Sono loro, ancora una volta, i vincitori delle primarie. Entrambi con quattro successi su cinque. Trump porta a casa la Florida, strapazzando il padrone di casa Rubio con un distacco di 19 punti, l'Illinois, il North Carolina e il Missouri (sia pure d'un soffio). Perde invece in Ohio, che va al governatore John Kasich. La Clinton, invece, si impone in Florida, Illinois, North Carolina e Ohio, ma perde (sia pure di misura) in Missouri. Umiliato, Rubio si ritira dalla corsa, ed è subito caccia ai suoi voti. Perché, checché se ne dica, la corsa in casa repubblicana è ancora aperta. Per vincere servono 1.237 delegati: Trump è in testa con poco più della metà (621), Cruz lo segue con 395. Più distanziato è Kasich, a quota 138. In casa democratica, invece, Hillary è in testa con 1.094 delegati, davanti a Sanders che ne ha 774. Per ottenere la nomination bisogna toccare quota 2.383.
"L'America torna a vincere", commenta Trump dopo i quattro successi portati a casa. "Sto lavorando duro e c'è molta rabbia... si vuole vedere il Paese governato per bene", osserva il tycoon di New York dal podio in un grande salone a Palm Beach. Trump torna a sottolineare le "menzogne" diffuse nei suoi confronti, e punta il dito contro i media che, a suo dire, l'hanno preso di mira. Poi lancia un appello all'unità del Gop: "Il partito repubblicano è ormai argomento in tutto il mondo. Tutti ne scrivono. Stiamo attirando gente che non aveva mai votato prima" (guarda il video).
"Ci stiamo avvicinando sempre di più alla nomination del partito democratico e alla vittoria di queste elezioni a novembre", commenta a caldo Hillary Clinton, a West Palm Beach, in Florida. Con la voce rauca (guarda il video) l'ex segretaria di stato sottolinea come fino a questo momento abbia ottenuto più voti di ogni altro candidato. Da Phoenix (Arizona) Bernie Sanders commenta così: "Non consentite alla gente di impedirvi di pensare in grande". Non cita l'esito della serata, per lui negativo. Guarda avanti e si concentra sui voti dell'Ovest.
Esulta John Kasich dopo l'ottimo risultato in Ohio. Ma oltre a festeggiare guarda avanti con ottimismo: "Ci sono oltre 1000 delegati ancora da selezionare. Posso arrivare alla convention con più delegati di chiunque altro". La vittoria in Ohio, lo Stato di cui è governatore, è la prima per lui e gli permette di raddoppiare il suo bottino di delegati grazie alla formula "chi vince prende tutto". Nel discorso sul podio della vittoria, dove arriva con accanto la moglie e le due giovani figlie gemelle, prima di tutto si congratula con il "talentuoso" Rubio, appena ritiratosi dalla corsa e da cui spera di ereditare gli elettori. Conferma poi il suo messaggio da candidato unificatore: "Prima di essere democratici o repubblicani siamo americani", ha detto, "non percorrerò la strada più bassa (di livello ndr) per raggiungere la carica più alta del Paese".
Ma i voti di Rubio sono corteggiati anche da Ted Cruz. Davanti ai suoi fan nel quartier generale di Houston, Cruz fa finta di non vedere gli zero successi conseguiti questa notte e preferisce ricordare le nove vittorie riportate "dall'Alaska al Maine", sufficienti, per lui, per riproporsi agli americani come unica alternativa a Trump. Del resto se Kasich si sente ancora in corsa, perché non dovrebbe pensare lo stesso Cruz? "A chi ha supportato Marco Rubio, a chi ha lavorato duramente per la sua campagna dico: vi accogliamo a braccia aperte. Rubio è un amico e un collega. La sua storia è potente e fonte di ispirazione - osserva Cruz - la sua campagna elettorale ha ispirato milioni di persone ma da domani restano possibili solo due campagne: la nostra e quella di Donald Trump. Nessun altro ha le possibilità matematiche di battere Trump", rimarca Cruz, ricordando i temi della sua campagna e rilanciando la sua posizione anti establishment.
Anche Trump rende gli onori delle armi a Rubio. "Ha condotto una campagna dura, congratulazioni". E ancora: "Rubio ha un grande futuro".
Secondo molti osservatori, però, il fatto di essere stato sconfitto persino nel proprio Stato non aiuterà la carriera politica del senatore di origini cubane. A meno che non sappia riciclarsi alle spalle di un leader che lo prenda sotto la propria ala protettiva, un po' come fece, anni fa, Jeb Bush.
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