Siria, il grande gioco delle alleanze

Mosca e Teheran intensificano la cooperazione militare in sostegno del presidente siriano Bashar Al Assad che in un'intervista rilasciata ai media russi ha ribadito la volontà di rimanere

Siria, il grande gioco delle alleanze

L’alleanza tra la Siria bathista e l’Iran degli Ayatollah dura ormai da più di un quarto si secolo e si riconferma nuovamente in un momento cruciale per il Medio Oriente, malgrado le discrepanze ideologiche, etniche e religiose che esistono tra i due Paesi (i primi laici, arabi e in maggioranza sunniti; i secondi teocratici, persiani e di religione sciita). Se Hafez Al Assad, padre di Bashar, appoggiò apertamente la Rivoluzione Islamica (febbraio 1979) andando in soccorso dei nuovi alleati durante il conflitto con l’Iraq (1980-1988), ora sarà l’Iran a sostenere l’attuale governo di Damasco nella guerra contro i miliziani dell’Isis e di Al Nusra. “Ci forniscono armi ma il supporto militare non è ciò che alcuni mass media occidentali stanno cercando di presentare come l’invio di unità militari iraniane in Siria”, ha detto il presidente Bashar al Assad in un’intervista rilasciata ai media russi precisando che “naturalmente sta avendo luogo uno scambio di specialisti militari tra la Siria e l’Iran”. Ad averlo annunciato qualche giorno all’agenzia italiana ANSA era già stato Abu Zalem, responsabile militare di Hezbollah e reclutatore a Beirut di miliziani sciiti che combattono al fianco dell’esercito regolare: “In Siria non abbiamo bisogno di truppe da Mosca e Teheran, ma di strateghi”. Eppure fonti anonime del governo israeliano che si occupa di sicurezza, citate dal quotidiano Yedioth Ahronoth, hanno avvertito che l’Iran starebbe inviando un migliaio di militari delle Forze speciali a Ghorin, una piccola struttura militare situata a Sud della città portuale di Latakia, per operare assieme ai fanti di marina russi che stanno arrivando in questi giorni a Jablah. Incrociando le fonti israeliane con quelle libanesi (giornale As Safir) l’artefice di questa operazione potrebbe essere il generale iraniano Qassem Suleimani, comandante della Forza Quds, una divisione delle Guardie rivoluzionarie che si occupa delle operazioni speciali all’estero tra spionaggio, addestramento delle forze alleate locali e combattimenti in prima linea, il quale si sarebbe recato di recente a Mosca per fare il punto sulla crisi siriana con le autorità russe. Per quanto ufficiosa la notizia risulta di fatto credibile. Il generale è già stato nel 2013 ideatore di un piano militare che porta il suo nome, “piano Suleimani”, avallato dal governo di Damasco il quale consisteva nella creazione milizia popolare composta da almeno 150mila combattenti, preferibilmente volontari (siriani, iracheni e iraniani) e di religione alawita e sciita.

Di fronte a queste manovre politico-militari sono arrivate le preoccupazioni del governo israeliano. Non a caso proprio ieri il quotidiano locale “Jerusalem Post” ha rivelato che il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ospiterà nei primi di ottobre il primo ministro Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca. Sul tavolo delle discussioni dovrebbero essere questi gli argomenti: crisi siriana, questione iraniana legata al nucleare e sicurezza di Israele. Inoltre come scrive il New York Times Obama starebbe valutando la possibilità di incontrare Putin a New York in occasione dei lavori dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e avviare un dialogo soprattutto sulla crisi siriana. “Il presidente Putin è sempre aperto al dialogo, in particolare con il suo collega, il presidente Obama”, ha spiegato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov. “Da parte della Russia c’è e rimarrà volontà di dialogo”. Dal canto suo il presidente siriano ha ripetuto con fermezza la volontà di rimanere dove sta. Sempre nell’intervista rilasciata ai media russi si è detto a favore “del dialogo in Siria fino a raggiungere un consenso” passando però attraverso la “sconfitta dei terroristi”.

“Un leader assume il potere con il consenso del popolo attraverso le elezioni e se lascia lo fa su richiesta del popolo, non per decisione degli Stati Uniti, del Consiglio di sicurezza dell’Onu, della Conferenza di Ginevra o del comunicato di Ginevra”, ha ribadito.

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