"Siamo entrate in Siria a fine luglio. La sera del 31 eravamo in un villaggio vicino ad Aleppo, ad Abizmu. Dovevamo incontrare una persona". Inizia così il breve viaggio di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo in Siria, prima che le due giovani italiane vengano sequestrate e trattenute per mesi, fino alla liberazione, avvenuta due giorni fa.
L'ingresso nel Paese in cui imperversa la guerra civile è avvenuto in una località non molto lontana dal campo profughi di Atma, passando da quella frontiera turca da cui passano tutti: giornalisti, cooperanti, foreign fighters diretti verso i campi di battaglia e intorno a cui si sviluppano traffici di ogni tipo.
Sono le due ragazze a raccontare ai Ros i mesi in cui sono state lontane da casa, in un interrogatorio parallelo nella caserma dei carabinieri. Parlano di molti spostamenti, forse cinque, sei, di sequestratori motivati da ragioni economiche, pronti a rapire per ottenere "i soldi per finanziare la causa". Raccontano di avere avuto paura, e sarebbe strano il contrario, ma di non avere mai temuto di morire.
I loro carcerieri non li hanno mai visti davvero in volto. E potrebbe anche darsi che negli oltre cinque mesi di sequestro siano cambiati più volte, come sono cambiati i luoghi della prigionia. Ma chiunque fossero "non ci hanno mai toccate, né legate", raccontano. "Avevamo una stanza e un bagno a disposizione", cibo anche durante il mese del Ramadan e medicine se ce n'era bisogno.
"Abbiamo avuto la sensazione che dietro tutto questo ci fosse Jabhat al Nusra", dicono Greta e Vanessa ai Ros. Ma su questo punto non c'è poi molto chiarezza. Una fonte dell'intelligence rivela al Fatto quotidiano che a rimbalzarsi le ragazze sono stati gruppi di banditi comuni, mentre sul Foglio Daniele Raineri, in Siria negli stessi giorni, dà loro ragione, parlando di responsabilità da parte di quel Fronte che è l'emanazione di al-Qaeda sul fronte della guerra siriana.
E proprio di Raineri i sequestratori avrebbero chiesto informazioni, al momento del rapimento. Perché il giornalista, lo conferma oggi in un pezzo sul Foglio, in quei giorni si trovava in Siria e quella notte in particolare era a meno di trenta chilometri da dove si trovavano Greta e Vanessa, in una casa usata dai ribelli. Da qui avrebbe poi raggiunto, scortato, il confine con la Turchia, e avvertito l'unità di crisi della Farnesina.
Dal giorno del rapimento un lungo silenzio sulla sorte delle due ragazze, che si è spezzato soltanto a dicembre, quando un video che mostrava le cooperanti - vive e provate - è stato diffuso online, a testimonianza del fatto che erano ancora in vita.
Da lì sono proseguiti gli sforzi dell'Italia, per garantire il loro ritorno, fino a quando l'aereo che le aveva imbarcate in Turchia non è atterrato a Ciampino, tra voci su un riscatto pagato dalle autorità e cifre fino a dodici milioni di dollari, che il governo - ma è prassi - non ha confermato, né mai confermerà.
"Ci scusiamo. Mai più in Siria"
A Roma l'accoglienza da parte dei parenti e del ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. "Scusa se ti ho fatto tanto male - ha detto in lacrime Greta alla madre -. Ci scusiamo entrambe, con voi e con l'Italia. Non tornerò mai più in Siria".
Un'imprudenza la loro. È stato chiaro Gentiloni, che è però stato altrettanto fermo nel dire che pensieri come "se la sono andata a cercare" sono "indegni". Non smetteranno però di fare volontariato, questo lo hanno già messo in chiaro. E se proseguire con il progetto Horryaty, lo ha detto il co-responsabile Roberto Andervill in un'intervista alla Stampa, "lo decideranno loro" a tempo debito.
Ed è sui loro progetti in Siria che qualcuno solleva dubbi.
Perché se loro ribadiscono di essere andate là soltanto per aiutare, ci sono però informative riservate del Ros viste dal Fatto Quotidiano, secondo cui tra le intenzioni delle ragazze c'era anche quella di distribuire ai ribelli kit di primo soccorso, invece che rimanere "neutrali" rispetto alla guerra civile in atto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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