Per la prima volta un sondaggio nazionale registra Ted Cruz in testa nella corsa repubblicana: secondo la rilevazione dell'agenzia Reuters il senatore ultraconservatore del Texas è avanti tra i probabili elettori in campo repubblicano e conduce con il 39% delle preferenze, contro il 37% di Donald Trump. Il governatore dell’Ohio, John Kasich, è lontano con il 23%.
L'ultima tappa delle primarie, nel Wisconsin, ha visto la netta affermazione di Ted Cruz e Bernie Sanders. Stando ai risultati definitivi, sul fronte repubblicano Cruz ha raccolto il 48,2% dei consensi, che si traducono in 36 delegati (ora ne ha 505). Seguito da Trump con il 35,1%, che gli vale soltanto sei delegati (ora ne ha 742). John Kasich con il 14,1% non conquista alcun delegato. Per i democratici Bernie Sanders prevale con il 56,5%, che si traduce in 47 delegati (ne ha in totale 1027), Hillary Clinton ne conquista 36 (in totale ne ha 1279) dopo aver ottenuto il 43,2% dei voti. Clinton gode anche del sostegno di 469 superdelegati (governatori, parlamentari e vip del partito), contro i soli 31 di Sanders.
Ora che succede? Il Washington Post scrive che Cruz comincia a crederci davvero. Il senatore del Texas spera che la netta vittoria su Trump nel Wisconsin "trasformi la traiettoria della corsa" verso la nomination per la Casa Bianca. Sebbene sia "vituperato" da molti leader del partito per le sue posizioni politiche "esplosive e divisive", Cruz in Wisconsin è riuscito a conquistare i voti del repubblicani moderati. Non è più, insomma, un candidato che non piace all'establishment. E', invece, un candidato (l'unico) che può davvero fermare Trump. E il Wisconsin ha dimostrato che l'unione fa la forza: l'obiettivo, in questo caso, era stringersi insieme per fermare Trump.
Il magnate newyorchese, scrive il Post, "rimane in una posizione favorevole a livello nazionale", ma ora Cruz ha un nuovo entusiasmo in vista delle prossime contese e il risultato di martedì aumenta la possibilità che la corsa per la nomination repubblicana non sia già decisa e tutto possa essere messo in gioco nella convention di luglio. Si torna a pensare, infatti, all'ipotesi di una convention aperta, con Trump che arriva con più delegati di tutti ma senza il quorum per ottenere la nomination (servono 1237 delegati). A quel punto il Gop potrebbe gettare nella mischia un uomo "super partes", come Paul Ryan. Ipotesi di cui si parla da tempo. Con i ricchi fratelli Koch pronti a firmare un assegno molto ricco per dare la spinta decisiva in campagna elettorale. Ma nel caso di una nomination "machiavellica", frutto della scelta del partito e non degli elettori, sarebbe quasi scontata la candidatura da indipendente da parte di Trump, che aprirebbe la strada alla vittoria di Hillary Clinton.
Ma cosa cambierà, ora, nella campagna elettorale di Trump? Azzarda una risposta Newt Gingrich, speaker della Camera dal 1995 al 1999 e autore del "Contratto con l'America", che regalò ai repubblicani la maggioranza nelle elezioni di Midterm del 1994. "O questo sarà il periodo in cui scopre di avere debolezze che non è in grado di superare - dice Gingrich - oppure sono le settimane in cui lui e il suo team realizzeranno che devono fare meglio. Se facesse il passaggio ad una figura di candidato realmente professionale - prosegue - diventerebbe formidabile e se non lo facesse non sarebbe lui il candidato".
Dallo staff di Trump - almeno a livello ufficiale - non sembrano arrivare segnali di
cambiamenti in corso: "Assolutamente no. Dal primo giorno facciamo la stessa campagna", insiste il manager Corey Lewandowsky. Ma a decidere se cambiare strada, o meno, ovviamente è soltanto una persona: Donald Trump in persona.
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