Lo Stato islamico strutturato come una multinazionale del petrolio

È quanto emerge dai documenti prelevati dalla Delta Force durante il raid che portò all'eliminazione di Abu Sayyaf, l’emiro del petrolio e del gas

Lo Stato islamico strutturato come una multinazionale del petrolio

Fino allo scorso anno, Abu Sayyaf era uno degli uomini più potenti dello Stato islamico. Nonostante la sua scarsa esperienza nel settore, riuscì a costruire un’efficiente rete commerciale dedita al traffico illecito di petrolio, triplicando le entrate del califfato. Così come ogni dirigente di una multinazionale petrolifera, Abu Sayyaf affrontava quotidianamente una serie di sfide che andavano dal controllo della produzione al rapporto con i clienti. L’uomo era anche responsabile del vitto e degli alloggi degli schiavi, della ricostruzione degli impianti danneggiati dagli attacchi aerei degli Stati Uniti e del trasporto del denaro contante. Lo scorso maggio, le forze speciali statunitensi hanno ucciso Abu Sayyaf nel suo quartier generale nella provincia siriana di Deir Ezzour, rinvenendo quello che venne definito come un tesoro di dati riservati.

Parte dei documenti sono stati visionati dal Wall Street Journal in un approfondimento pubblicato poche ore fa. Emerge un quadro chiaro: lo Stato islamico è stato strutturato come una multinazionale del petrolio con diverse ramificazioni. Nulla era lasciato al caso: dai fondi destinati alla corruzione dei funzionari siriani alle risorse necessarie per garantire il funzionamento dei pozzi danneggiati dai raid statunitensi. Nonostante la sua morte, la struttura aziendale creata da Abu Sayyaf sarebbe ancora intatta così come in vigore gli accordi con gli imprenditori legati al regime siriano. I file raccolti dalla Delta Force dimostrano che la divisione di Abu Sayyaf ha contribuito al 72% dei quasi 300 milioni di dollari (289.500.000) di ricavi ottenuti in sei mesi dalle sole risorse naturali.

I documenti esaminati dal Journal rappresentano solo una parte dei file recuperati nell’incursione dello scorso anno.

Abu Sayyaf, all’anagrafe Fathi ben Awn ben Jildi Murad, è nato in un quartiere operaio di Tunisi nei primi anni ’80. Le dinamiche che lo hanno portato alla carriera terroristica non sono chiare. E’ menzionato per la prima volta nel 2003, nel suo primo coinvolgimento con al-Qaeda, in Iraq, come parte attiva nella lotta contro le truppe alleate ed il governo a guida sciita insediato nel paese. Nel 2010 prende in moglie una donna irachena appartenente ad una potente famiglia coinvolta nella jihad anti-americana. Si ribattezza Abu Sayyaf ed inizia a stringere rapporti con il nucleo principale dei militanti sunniti iracheni dell’epoca: tra questi il futuro califfo Abu Bakr al-Baghdadi.

Tra le prime direttive dello Stato islamico, nel giugno del 2014, la creazione di un ministero del petrolio con a capo un iracheno noto come Haji Hamid. Quest’ultimo nomina Abu Sayyaf a capo delle migliori province produttrici di petrolio della Siria: Deir Ezzour e al Hakasah. Abu Sayyaf si ritrova cosi a gestire 152 funzionari così come tutti i rapporti con i principali manager stranieri che hanno aderito al gruppo estremista.

Abu Sayyaf insedia il suo quartier generale nel campo di al-Omar, a Deir Ezzour, in precedenza gestito dalla società anglo-olandese Royal Dutch Shell PLC.

Abu Sayyaf impone subito il dollaro, invece della sterlina siriana, come principale valuta per il commercio del petrolio. Si rivelerà una scelta vincente, che faciliterà il gruppo estremista nel trasferire i fondi all’estero e per pagare le merci importate tramite la sua rete internazionale. Abu Sayyaf crea anche una fitta rete di piccoli contrabbandieri a domicilio, responsabili del trasporto del petrolio tramite convogli e decide di mantenere i lavoratori più esperti, aumentando anche gli stipendi mensili: 160 dollari in più per i contabili, 400 per un tecnico di perforazione. Il pagamento del petrolio avveniva in loco ed in contanti: un modo per evitare che il denaro venisse bloccato dai servizi segreti stranieri.

Abu Sayyaf era un manager severo e impopolare. Per mantenere l’ordine e la disciplina, nei campi petroliferi supervisionati da Abu Sayyaf avvenivano periodicamente delle esecuzioni.

I bombardamenti alleati costrinsero lo Stato islamico e rivedere la propria strategia sulla sicurezza. Come prima contromisura, furono banditi i localizzatori GPS. Dal 25 ottobre al 23 novembre del 2014, Abu Sayyaf registra un fatturato di 40,7 milioni di dollari, il 59% in più rispetto al mese precedente.

Abu Sayyaf imponeva prezzi diversi per il greggio a seconda del campo di estrazione. Il prezzo medio al barile nel novembre del 2014 dal campo di al-Tanak, a Deir Ezzour, variava da 32 a 41 dollari. Nello stesso periodo, il prezzo medio dei barili estratti dai campi di al-Omar ed al-Milh, variava dai 50 ai 70 dollari.

Temendo trattamenti preferenziali, il ministero del petrolio dello Stato Islamico in una nota del 22 dicembre del 2014, invitava i responsabili a garantire un commercio equo, evitando favoritismi. Nota che non sembra aver disturbato Abu Sayyaf, che nelle fasi finali del suo regno creò delle diverse corsi di approvvigionamento in base al prezzo sborsato dall’acquirente.

Abu Sayyaf è stato rintracciato all’interno di un edificio a tre piani, pesantemente difeso, il sei maggio dello scorso anno.

Non qualche sparo, ma un vero e proprio scontro a fuoco, dissero dal Pentagono. La Delta Force ha eliminato dodici terroristi ed Abu Sayyaf. Nessun americano è stato ucciso o ferito. Catturata la moglie di Abu Sayyaf, la terrorista Umm Sayyaf, trasportata in una base segreta della CIA in Iraq. Liberata una donna appartenente alla minoranza religiosa yazidi divenuta la “schiava della coppia”. Rinvenuti anche testi assiri antichi ed altri reperti di inestimabile valore come telefoni cellulari, computer portatili e documenti.

Abu Sayyaf era descritto come “l’emiro del petrolio e del gas".

E’ stato il Segretario alla Difesa americano Ash

Carter, da Washington, a comunicare il raid, seguito subito dopo da un comunicato della Casa Bianca. “Non abbiamo informato in alcun modo il governo di Assad, non devono interferire con i nostri sforzi per combattere l’Isis”.

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