Il giorno del referendum costituzionale, in cui la Turchia è andata alle urne in massa per scegliere se restare una repubblica parlamentare o diventare invece un presidenzialismo esecutivo, in quella che secondo le opposizioni è in realtà una transizione verso un autoritarismo, Gabriele del Grande l'ha trascorsa in carcere.
Il giornalista e blogger italiano, da tempo impegnato nella scrittura di un libro (Un partigiano mi disse) sulla guerra siriana, è stato fermato lunedì scorso, trattenuto in un centro di detenzione amministrativa dopo un controllo alla frontiera nella regione dell'Hatay, dove stava compiendo ricerche senza i permessi aggiuntivi necessari, imposti da qualche tempo per lavorare nell'area.
In una telefonata in Italia, oggi Del Grande ha ribadito di stare bene. "Non mi è stato torto un capello ma non posso telefonare, hanno sequestrato il mio cellulare e le mie cose, sebbene non mi venga contestato nessun reato". Ha poi aggiunto che questa inizierà uno sciopero della fame, in protesta contro una situazione che si prolunga nonostante già al terzo giorno di fermo sembrava tutto fosse pronto per la sua espulsione dalla Turchia.
Dall'Hatay, il giornalista è stato trasferito in un centro d'espulsione a Mugla, sulla costa egea. "Hanno sequestrato il mio telefono e le mie cose", si legge in un messaggio riportato su Facebook. "Ho potuto telefonare solo dopo giorni di protesta. Non mi è stato detto che le autorità italiane volevano mettersi in contatto con me".
"Invito tutti a mobilitarsi per chiedere che vengano rispettati i miei diritti", ha aggiunto il giornalista 34enne, parlando con la compagna e con alcuni amici, sostenendo di essere stato interrogato sul contenuto del suo lavoro.
Già autore di diversi libri e autore del blog Fortress Europe, in passato aveva già raccontato la crisi siriana con un documentario, Io sto con la sposa, e con pezzi giornalistici pubblicati in Italia su Internazionale e all'estero sulla testata online Al Monitor.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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