Il virus non fa più paura e riparte la movida cinese

Il governo rimette in moto il Paese. Da Pechino a Shangai fino Shenzen riaprono i locali notturni

Il virus non fa più paura e riparte la movida cinese

Il virus non ferma la «febbre cinese» del sabato sera. Qualcuno la chiama Covid-movida, altri semplicemente un pezzo del puzzle della ripresa. Fatto sta che il Dragone riapre le discoteche e Pechino si riprende il monopolio della musica. Dai rave «in cloud» su TikTok, fin quando le quarantene non consentivano di far festa sul serio, un po' di organizzazione ha permesso a migliaia di cinesi di rimettere piede sulle piste da ballo. Ovviamente, traendo vantaggio dalla crisi globale e privilegiando un cartellone post-Covid di artisti 100% Made in China.
Se l'epidemia ha messo in ginocchio gli artisti su scala internazionale, impossibilitati a spostarsi da una parte all'altra del globo, il governo cinese ha deciso in fretta di consentire ai club di riaprire dando spazio a band e dj locali. I grandi concerti non sono ancora ammessi, ma i locali notturni iniziano a ritrovare clienti. L'economia gira, l'umore migliora.
Dall'esplosione dei «cloud rave» - con milioni di cinesi sintonizzati da casa su Douyin, la versione cinese di TikTok durante l'epidemia di coronavirus - si torna «in pista» con qualche cautela. Pubblico e dj con mascherina obbligatoria e controlli della temperatura all'ingresso dei locali. E tanti saluti ai dj che vivono in streaming i loro set in Occidente.
Nei club di Chengdu, Shanghai e Shenzhen, indossare una mascherina sul dancefloor è già diventata una pratica standard, così come la misurazione della «febbre» all'ingresso. Un codice QR indica lo stato di salute del cliente, visualizzato all'entrata. La mascherina diventa accessorio da selfie e il pubblico cinese ci gioca divertito.
D'altronde, il volto coperto da una mascherina era già stato sdoganato dai dj negli anni passati: vedi il duo belga Soulwax che ne aveva fatto un brand. Per non parlare del casco dei Daft Punk. Così i ragazzi cinesi accettano di sottomettersi alle condizioni della nuova «Saturday Night Fever» in salsa pechinese pur di avere ancora accesso agli eventi musicali.
Ci si lascia tracciare, ritrovando di notte quel poco di evasione concessa dalla Via della Seta.
I boss di vari club hanno infatti annunciato che solo il 10-15% dei clienti abituali è ancora riluttante a uscire, ma nel complesso il tasso è buono e i locali hanno ripreso ad assumere. Buttafuori e tecnici richiamati e ben istruiti e macchina organizzativa pronta.
Diversi club cinesi hanno anche affermato che se la riapertura fosse avvenuta più tardi, non sarebbero stati finanziariamente in grado di riaprire i loro templi. Questo - dicono - è il momento perfetto per gli artisti cinesi per distinguersi e farsi conoscere anche dai propri connazionali, che dal punto di vista artistico scelgono l'Occidente come faro: dalla musica classica all'elettronica.
I globetrotter internazionali non possono recarsi in Cina? Nessun problema, hanno fatto sapere le autorità: la programmazione sarà «al 100 per cento cinese». Vedrete che sarà comunque un successo.
Per ora il virus non ferma la Covid-movida e, anzi, sta dando un'opportunità agli artisti locali: quella di suonare i loro set negli orari di punta della programmazione, e non solo in apertura di un grande nome europeo o americano. Lizzy Wang, una delle dj cinesi più richieste, ha ammesso che sta iniziando a ricevere prenotazioni da città che non l'avevano mai chiamata prima. Shanghai sembra aver recuperato rapidamente il ritmo della nightlife. Non solo il celebre Elevator club.
Musicalmente parlando, tutto è pronto anche per l'Arkham, 44 KW, Taxx (che l'8 febbraio ha lanciato le prime sessioni di «cloud disco dancing»), Ninja e Diamond Club. Tutti hanno avviato operazioni per gestire in sicurezza una serata dal vivo facendo divertire migliaia di cinesi.
A Wenzhou, c'è il T Linx, uno dei maggiori locali della città, che ha riaperto addirittura a inizio marzo. Ma lì c'era un indice di contagi bassissimo. Ricambio dell'aria almeno tre volte al giorno, capacità ridotta e via libera con un numero limitato di persone per mantenere la distanza di sicurezza tra i ragazzi.
I frequentatori del club sono sempre tenuti a presentare il proprio codice «semaforo», scansionando il QR prima di entrare anche altrove. OIL e Superface a Shenzhen, Playhouse a Chengdu, SOS Club a Hangzhou e SpacePlus a Nanchino. Tutti stanno iniziando a prenotare dj per eventi.
Anche a Seoul, in Corea del Sud, hanno riaperto un certo numero di club lo scorso fine settimana. Se la Corea del Sud ha esteso le politiche di distanziamento sociale fino al 6 maggio, dal 19 aprile ha infatti introdotto alcune eccezioni, tra cui quelle riservate ai disco bar.
Allentando poi le restrizioni per spazi come club, chiese e strutture sportive, visto il rallentamento del contagio da Covid-19 nel Paese, anche la Corea ritrova la sua «normalità».

I locali di Seoul, tra cui Faust, Vurt e MODECi funzionano, pur con rigide politiche in materia di salute e sicurezza, capacità limitata e linee guida per l'ingresso. Il Faust ha inaugurato la politica del «No Mask. No Entry». Non è carnevale, ma la neo policy per sfogare la febbre del sabato sera d'Oriente al tempo del coronavirus.

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