Montecarlo, la pista fiscale porta al "cognato"

Quanti soldi ci sono sul conto bancario in Svizzera collegato alle bollette dell’appartamento? Secondo le norme valutarie dovrebbero essere oltre 300mila euro, ma non si conosce come siano arrivati oltre confine. L’indagine della Finanza. Contratto d'affitto: in 10 righe 24 errori di francese

Montecarlo, la pista fiscale porta al "cognato"

Gian Marco Chiocci - Massimo Malpica

nostri inviati a Montecarlo

«Tulliani? Non lo sentire­mo, non ci interessa». Fino ad oggi è stata questa è la posizio­ne della procura di Roma, che indaga sull’ affaire immobilia­re monegasco per l’ipotesi di truffa aggravata, in seguito a un esposto della Destra, il par­tito di Storace, che rilanciava in sede giudiziaria l’inchiesta del Giornale . Ma davvero il «cognato» di Gianfranco Fini non riveste un ruolo tale nella vicenda da interessare gli in­quirenti? A dar retta ai fatti, documentati, sarebbe dovu­to essere lui il primo a sfilare in procura. Anche perché quanto rivelato dal Giornale in due mesi,e soprattutto nel­l’ultima settimana, accende i fari su altri aspetti che potreb­bero riguardare sia profili pe­nali che fiscali. Tulliani ha un conto corrente nel Principa­to. Ed è residente a Monaco grazie a un attestato con il quale la sua banca certifica che ha fondi a sufficienza per non lavorare. Se quei soldi non sono noti, in tutto o in par­te, al fisco italiano, il tema do­vrebbe assumere un certo in­teresse per le nostre autorità. Idem se si dovesse scoprire che dietro all’identità di fir­ma ( e di sostanza) tra Tulliani e la fiduciaria Timara costitui­ta in un paese a «fiscalità privi­legiata » si nascondesse una si­nergia di altro genere.

La procura di Roma sin dal­l’inizio spinge soprattutto su un tasto: acclarare se quei 300mila euro ai quali la casa di boulevard Princesse Char­lotte - che An aveva ricevuto in eredità dalla contessa Col­leoni - è stata venduta siano o no un prezzo congruo. In pro­cura sono sfilati il senatore Francesco Pontone, che co­me tesoriere firmò l’atto di vendita da An a Printemps, il deputato Donato Lamorte, che visitò la casa in questione e la descrisse come fatiscen­te, e la segretaria di Fini, Rita Marino, che accompagno La­morte nel tour monegasco. Pontone ha negato di aver mai trattato il prezzo, spiegan­do che la scelta di vendere era stata «del partito», smenten­do di aver mai ricevuto altre offerte di acquisto. Solo che in procura c’è andato anche Antonino Caruso, parlamen­tare del Pdl ed ex An, che ha invece confermato di aver ri­cevuto un’offerta da un milio­ne di euro per la casa sei anni prima della vendita, e di aver­la girata a Pontone. E di offer­te superiori hanno parlato in tanti: inquilini del Palais Mil­ton, dove ora vive Tulliani, ma anche il senatore ex An Giorgio Bornacin, che ha ri­cordato un’offerta di un grup­po di sanremesi rispedita al mittente.

Bianco e nero, dunque. Ma se mancano le certezze, di si­curo è curioso che i pm finora abbiano snobbato il cognato del presidente della Camera. Perché ilfratellino di Elisabet­ta è l’uomo che avrebbe sapu­to (non è chiaro da chi, perfi­no Fini ha negato di averglie­lo detto) che quell’apparta­mento era in vendita. E sem­pre lui avrebbe individuato un acquirente, guardacaso una società off-shore , la Prin­temps, con sede ai Caraibi e creata ad hoc per la bisogna giusto pochi giorni prima del­la vendita. E ancora Tulliani avrebbe proposto a Fini l’affa­re (per l’acquirente, s’inten­de), evidentemente fissando anche il prezzo, visto che Pon­tone nega di averlo trattato e Fini si limita a dire che «gli uffi­ci di An» verificarono che era superiore alla bassissima va­lutazione fatta, comunque, 10 anni prima. Vista così, dav­vero Tulliani non c’entra con la svendita della casa? Ma non è finita, perché come è noto la Printemps (s)venderà a sua volta, arrotondando il prezzo solo del dieci per cen­to, alla sua gemella Timara, stessa sede nei paradisi fisca­li, stesso capitale sociale, stes­si referenti. E quest’ultima chiuderà il giro, accollandosi le fatture dei costosi lavori di ristrutturazione e affittando la casa a Tulliani.

Con un con­­tratto sul quale le firme del «cognato» e del rappresentan­te della società sono identi­che. Ci sono anomalie, dunque, ma soprattutto c’è un ruolo centrale giocato in tutta la vi­cenda dal «cognato» del presi­dente della Camera. Grazie al Giornale le carte sono ormai pubbliche, che altro serve agli inquirenti? Oltre alla vicenda delle fir­me, a rafforzare la sensazione di un forte link tra Tulliani e le fiduciarie, c’è la storia delle utenze, che il giovane italia­no ha scelto di domiciliare a casa di James Walfenzao, uno degli intermediari, esperti in fiduciarie e in legislazione fi­scale, che risulta essere ammi­­nistratore, diretto o indiretto, sia di Printemps che di Tima­ra. E sufficientemente in buo­ni rapporti con Tulliani da «prestargli» il suo indirizzo. Delle utenze domestiche di Tulliani, almeno le bollette della luce, importanti per cer­tificare la reale residenza a Montecarlo dei cittadini stra­nieri ( che se sono in casa con­sumano elettricità), arrivano infatti a casa Walfenzao. Su quella bolletta, pubblicata dal Giornale , c’è il conto cor­rente di Tulliani.

Su quel con­to corrente, stando alla carta di residenza del «cognato», dovrebbe esserci una discre­ta somma, visto che Tulliani non è titolare di imprese né ri­sulta lavoratore dipendente, ma risiede a Montecarlo, ap­punto, grazie a un deposito di garanzia e al conseguente at­testato bancario di «autosuffi­cienza economica». Quei sol­di, tutti o in parte, Tulliani li ha indicati nel «quadro Rw» (dove si evidenziano le dispo­nibilità finanziarie all’estero) della sua dichiarazione dei redditi? Se magistrati e Gdf vo­gliono vederci chiaro, sanno esattamente cosa e dove cer­care. Un bel vantaggio, che dovrebbe facilitare il compito della procura, che non do­vrebbe bussare al Principato chiedendo lumi sull’esisten­za stessa di un deposito «a no­me di», ma solo sulla consi­stenza di un determinato e già noto conto corrente cifra­to. Occorrerebbe verificare il canale seguito per l’esporta­zione dei capitali, se quello previsto per legge con l’ausi­lio di intermediati abilitati.

Oppure vedere se si è fatto ri­corso allo scudo fiscale per re­golarizzare queste somme. Nessuno ovviamente pensa che Tulliani abbia fregato il fi­sco ma per molto meno, pro­prio i pm di Roma, da mesi stanno indagando sui conti segreti dei tanti furbetti di San Marino.

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