Morto Cunningham, anima ribelle della danza

Merce Cunningham, uno dei grandi padri della danza americana, figlio di Martha Graham e padre di tutti gli altri, rivendica la paternità del modern statunitense di prima generazione e del suo post.
Spiegando se stesso in un volume apparso nel '90 il coreografo-filosofo, ricci scomposti che incorniciano il volto da vecchio bambino impresso da un che di arguto, innocente e vagamente straniante, insiste sul quel concetto. Caso come annullamento dei capisaldi del pensiero occidentale. Caso che segna le vite e, nello specifico, cementa il connubio tra lui, il musicista John Cage e il figurativo Bob Rauschenberg. Un terzetto storico amalgamato e trasgressivo. Merce, figlio ribelle della grande Martha: via ogni contenuto, la danza è un disegno casuale. John figlio ribelle di Schönberg: via ogni forma, serialità inclusa. Bob: via il racconto, l’arte visiva è un collage di motivi destrutturati. Nel segno di alea, caso e libertà il mostro sacro da vita a centinaia di «event», il nome dei suoi pezzi. Creazioni tanto casuali da nascere spesso sul lancio delle monetine dell’I Ching, il Libro delle Mutazioni.
Di anno in anno Merce resta fedele a sé stesso. Aggiungendo una predisposizione alla civiltà indù e alla filosofia zen. Cunningham già nel Quaranta, e in modo più agguerrito nel decennio successivo, da vita a performance alle quali nessuna formula adottata dal nuovo riuscirà mai a sottrarsi. Mentre lui continua a giocare con i concetti di spazio, tempo, oggettivo e vita. Tempo come elemento che coordina i materiali impiegati, spazio come campo scenico aperto, caso come rapporto reciproco tra successioni di movimenti e tra danza e musica. L’«oggettivo» è invece il cagiano «chance method», principio che elimina l’interpretazione proponendo il fatto privo di prospettiva. Mentre la vita è quell’imprevedibilità che, legge d’esistenza, deve di necessità informare una danza che della vita sia lo specchio. Tutto ciò, un sistema filosofico, è sempre stato il segno della sua Company, gente di estrazione accademica in mezzo alla quale noi abbiamo costantemente visto anche lui. Sin dalla prima apparizione italiana nel mitico 1980 del teatro Nazionale di Milano. Allora Cunningham era già un vecchio leone fiero, aggressivo, teatrale, forse grottesco. Ma protagonista di avventure di spessore tale da motivare il connubio artistico con i suoi compagni di viaggio Cage e Rauschenberg. E leone è sempre rimasto. Via via nei teatri dove l’abbiamo incontrato. Ferrara, Verona, Cremona. Venezia, teatro del poetico Ocean con i magnifici di Merce che parevano bronzi di Riace (qui torna il marchio Graham) emersi dalle acque.


Nervi ’96 dove, forse per l’ultima volta, vediamo ancora sulla scena il leone dal volto da bambino che non gliela da vinta, per dirci che se il nostro passaggio sulla terra non è inutile dobbiamo ripetere il suo perché fino all’ultimo respiro.

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