S arà perché Oscar Scalfaro somigliava maledettamente all’odioso governatore nemico di Zorro - l’attore Gianni Rizzo- , ma nessun politico fu così detestato dal mondo del cinema e dei critici: perfino Totò, Fellini, Silvio d’Amico e il feroce Malaparte che nel 1955 lo definì «l’ultimo venuto tra i salvatori della Patria, con l’aulica e sacra missione di ricondurre la morale nell’immoralissima Italia». E non lo aveva visto ancora da presidente con la sciarpa bianca a mo’ di stola sacerdotale e il ditino alzato ad ammonire.
In quel tempo la sinistra lo vituperava come il diacono di Scelba, quello del «culturame» e dei celerini. Poi, da presidente, Scalfaro si trasfigurò nella prima persona singolare del Verbo Scalfari.
Ora che è morto faccio mea culpa. Fui credo il primo con l’ Italia settimanale nel ’92 ad attaccarlo: in copertina il suo volto sbarrato e il titolo «Il presidente del disciolto regime». Ed era agli esordi del suo settennato.
Nei rapporti personali fu invece un signore: gentile, con un po’ d’ipocrisia, curiale, distingueva tra l’errore e l’errante, come il Papa Buono.
Scalfaro porta con sé il suo mistero glorioso: non la condanna a morte comminata da magistrato, non i fondi neri del Viminale, non la sua elezione al Colle (ex-ministro dell’Interno, come il suo predecessore e l’odierno successore), non il suo
ruolo nell’avviso a Berlusconi nel ’94; ma l’aver guidato la Seconda repubblica tutto in retromarcia. Come ha fatto? Fu il leader morale della sinistra reazionaria. Fu il nostro mullah, la sua sharia fu la Costituzione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.