Laura Gigliotti
Tutto accadde per caso una mattina del 14 gennaio 1506. Qualcosa di esaltante era venuto alla luce nella vigna di Felice de Fredis a Colle Oppio e la città entrò in fibrillazione. La notizia giunse alle orecchie di papa Giulio II Della Rovere che incaricò un palafreniere di recarsi sul posto. Vi giunse anche Giuliano da Sangallo insieme a Michelangelo. E subito riconobbe il Laocoonte, privo del braccio destro, descritto da Plinio il Vecchio, posto nel palazzo dellimperatore Tito, realizzato a Roma dagli scultori rodii Hagesandros, Athanodoros e Polydoros, che hanno lasciato la firma anche nella Grotta di Tiberio, scoperta a metà del 900 a Sperlonga. Sessantanni dopo il fatto Francesco da Sangallo, che la vide sulle spalle del padre, racconta la scena in una lettera presente nella mostra che celebra il V Centenario dei Musei Vaticani «Laocoonte. Alle origini dei Musei Vaticani» aperta fino al 28 febbraio 2007 nella Sala Polifunzionale. La notizia si sparse nella città e i cronisti raccontano di un «giubileo» di gente che andava a vedere la scultura che de Fredis, per sicurezza, teneva in camera da letto. Nelle corti dEuropa si fece a gara per accaparrarsela, ma ebbe la meglio il papa che lacquisì per la collezione che stava formando nel Cortile delle Statue del Belvedere, dove andò a fare compagnia ad altri capolavori come lApollo, nucleo fondante dei Musei Vaticani. La rassegna, divisa in cinque sezioni, narra, attraverso un centinaio di opere antiche e moderne, medaglie, codici, miniature, stampe, foto, dipinti e sculture di Vasari, Sansovino, Sodoma, Rubens, Bernini, Hayez, la storia della scoperta e la fortuna di una gruppo scultoreo entrato nellimmaginario collettivo, con cui si sono confrontati gli artisti di tutti i tempi. E il mondo della satira e della pubblicità, dei fumetti, dei computer e dei videogiochi.
Di fronte cè il suo clone scuro, il calco in bronzo che Francesco I, non riuscendo a ottenere loriginale, si fece fare per Fontainebleau dal Primaticcio, che dovette lavorarci e ritoccarlo, lasciandovi la sua impronta. Accanto un altro esemplare, un calco in gesso «esploso» realizzato nel 1957 per il restauro da Filippo Magi che mostra le sette parti di cui è composto. Fu allora che venne applicato il braccio destro vero, ritrovato nel 1905 nella bottega di uno scalpellino sulla via Labicana. Fanno corona al sacerdote troiano e ai suoi figli avvinghiati dai boa e morsi dai serpenti velenosi, vittime sacrificali della caduta di Troia perché nasca Roma, laffresco staccato da Pompei che mostra i protagonisti separati luno dallaltro, «Il domatore di serpenti» di Francesco di Giorgio da Dresda, il rilievo da Vienna con la flagellazione di Cristo come Laocoonte, fino alle opere dei contemporanei.
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