Napolitano e Pisapia lotte comuniste addio Meglio il palco reale

Il capo dello Stato e il sindaco di Milano sembrano lontani anni luce dal loro passato di battaglie per il proletariato

Napolitano e Pisapia  lotte comuniste addio  Meglio il palco reale

Che cattivo Robert Carsen, regista del Don Giovanni all’esordio l’altroieri alla Scala di Milano. Nel finale, il fantasma del Commendatore, ucciso dal protagonista all’inizio dell’opera, è riapparso a sorpresa nel palco reale, alle spalle di Giorgio Napolitano, Mario Monti e Giuliano Pisapia. Una vera mazzata nei confronti del potere politico, sfuggita a molti ma non ad Armando Torno sul Corriere della sera. L’editorialista cita le note di regia del libretto originale (Praga, 1787). Secondo le indicazioni, la scena si deve svolgere in un «loco chiuso in forma di sepolcreto». Tradotto: in un cimitero.

Qualcuno ha visto in tutto ciò una metafora del futuro corso politico. Quello in cui i comunisti risorgono e, dopo una vita passata a lottare contro il capitalismo, stringono all’occorrenza una alleanza con i tecnocrati dell’alta finanza internazionale. Forse è una esagerazione. In fondo le batoste elettorali, per Bersani e soci, potrebbero non essere finite. Che impressione, però, quelle foto in cui la sinistra istituzionale (il presidente della Repubblica Napolitano) sta accanto a quella extraparlamentare (il sindaco di Milano Pisapia). E tutte e due stringono la mano al professore ex consulente della banca d’affari Goldman Sachs (il presidente del Consiglio Monti). Lontanissimi, per fortuna, i tempi in cui Napolitano, a lungo responsabile della commissione culturale del Pci, spiegava sulle colonne dell’Unità e di Rinascita il motivo per cui la cacciata del dissidente Aleksandr Solgenitsyn dall’Unione Sovietica fosse la «soluzione migliore». In realtà il Premio Nobel per la letteratura aveva le sue colpe: diamine, non poteva starsene quieto, invece di scrivere Arcipelago Gulag? È innegabile, argomentava Napolitano, «la natura di grave misura restrittiva dei diritti individuali; ma solo commentatori faziosi e sciocchi possono prescindere dal punto di rottura cui Solgenitsyn aveva portato la situazione». Gli stessi «commentatori faziosi e sciocchi» che dimenticavano come «il capitalismo e l’imperialismo tendano a ridurre l’uomo a semplice congegno di una macchina disumana e a manipolarne la coscienza». Era il 1974, un’altra epoca. Ancora più lontano, quasi preistorico, il 1956, anno in cui Napolitano giustificava i carri armati dell’Armata Rossa per le strade di Budapest. Secondo lui, gli insorti ungheresi erano controrivoluzionari asserviti all’imperialismo, mentre i soldati di Mosca diffondevano «la pace nel mondo». (Il presidente però su quella repressione cambierà idea, facendo autocritica, nella sua autobiografia, a circa mezzo secolo di distanza dagli eventi). E Pisapia, il sindaco arcobaleno? In passato i militanti di Democrazia proletaria, movimento a cui lo stimato avvocato era vicino, alla Prima della Scala ci andavano soltanto a tirare i pomodori alle borghesi impellicciate. Ieri, al termine di un percorso che lo ha portato a governare Milano con l’aiuto dei vendoliani, al Piermarini è entrato in smoking. Dal Soccorso al Tappeto rosso (di velluto).

Oggi l’Italia sembra aggrapparsi agli ex comunisti, al presidente della Repubblica soprattutto, a lungo applaudito dal pubblico milanese, perché mostrano attaccamento alle istituzioni italiane, dopo averle a lungo messe un gradino sotto a quelle sovietiche.

Comunque sia, questi uomini hanno definitivamente detto addio al proletariato, anche se qualcuno di loro si balocca col socialismo. Solo a parole, per carità. La rivoluzione, alla fine, era proprio un pranzo di gala, anzi: una raffinata cena alla Scala.

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