«Aggiornare la memoria». È una sfida aperta e un oltraggio, la manifestazione che i Giovani palestinesi e l’Associazione palestinesi d’Italia hanno convocato, in vista di una data scelta non a caso: la Giornata della memoria.
Il 27 gennaio è il giorno che dal 2000 anche l’Italia, su indicazione dell’Onu, dedica alla commemorazione delle vittime della Shoah. Una ricorrenza in qualche modo sacra, che le organizzazioni di arabi in Italia tendono sistematicamente non a negare in modo esplicito - non potrebbero - ma a ribaltare, senza tanti riguardi, usandola a loro piacimento per assecondare la narrazione che a loro conviene ed è gradita: quella del «genocidio», il racconto (assecondato da pezzi della sinistra) di una nuova «shoah» che - contro ogni evidenza, statistica e storica - sarebbe in corso a Gaza.
È accaduto l’anno scorso e sta per accadere di nuovo, visto che il 25 gennaio intendono tornare in piazza i promotori delle manifestazioni che da un anno a questa parte accusano e insultano Israele, più ancora che difendere gli arabi di Palestina. Sono i Giovani palestinesi e l’Associazione palestinesi d’Italia, quella di Mohammed Hannoun, l’architetto che ha ricevuto un foglio di via da Milano per istigazione all’odio, dopo essere stato inserito nella black-list del Dipartimento del Tesoro statunitense con l’accusa (da lui platealmente rigettata) di essere un finanziatore del terrorismo e di promuovere manifestazioni contro Israele.
In una locandina pubblicata sui social si legge: «27 gennaio 2025. Aggiorniamo la memoria. Il genocidio è ora. Palestina libera. In occasione della Giornata della memoria mobilitiamoci contro il genocidio del popolo palestinese». In un’altra: «Fuori i genocidi dalla storia. Con la Palestina fino alla vittoria».
Lo scorso anno la manifestazioni furono «vietate», ma di fatto si tennero lo stesso, con gravi tensioni. Il governo, ascoltando l’appello delle Comunità ebraiche, era infatti sceso in campo, con discrezione, sollecitando i questori a (far) rinviare le iniziative di piazza previste per il sabato 27 gennaio, allo scopo di tutelare «il valore» della commemorazione e contemperandolo con il diritto di manifestare: i cortei furono spostati al giorno dopo, con lo stesso benestare di una parte minoritaria degli organizzatori. Una circolare in tal senso fu diramata dal Dipartimento della Pubblica sicurezza per rispondere alle richieste che, in tal senso, erano arrivate dal mondo ebraico. E non si può dire che non ci fossero tutte le premesse di una provocazione intollerabile. Già all’indomani del 7 ottobre, infatti, erano cominciati i sit-in e poi i cortei contro Israele. Subito dopo il massacro compiuto da Hamas, era stato convocato un presidio a Milano, in via Mercanti, e gruppi organizzati di estrema sinistra avevano inneggiato alla «vittoria memorabile» del 7 ottobre e alla «resistenza». Alcune settimane dopo, partecipando a cortei ancora più strutturati, nutritissimi gruppi di giovani avevano scandito in arabo osceni slogan antisemiti («ci mangiamo gli ebrei») mentre la «testa» del corteo rivendicava una «Palestina dal fiume al mare», invocando di fatto la cancellazione di Israele dalla carta geografica.
E non era sfuggita la presenza di un cartello che raffigurava la povera Anna Frank con la «kefiah» palestinese, a sottolineare questa narrazione deformante e strumentale della «seconda shoah».Ecco i precedenti sulla base dei quali, dopo fu chiesto - e deciso al Viminale - di rinviare i cortei. Resta da vedere cosa succederà a 12 mesi di distanza.
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