"Ci chiamano fascisti se facciamo il nostro lavoro". La protesta dei poliziotti finisce in piazza

Un volantinaggio e un presidio vicino al Viminale per chiedere di poter fare il lavoro per il quale sono pagati, ossia il mantenimento della sicurezza di tutti: questo l'obiettivo dei poliziotti che ora chiedono tutele

"Ci chiamano fascisti se facciamo il nostro lavoro". La protesta dei poliziotti finisce in piazza
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Questa mattina, una rappresentanza di poliziotti aderenti al sindacato Italia Celere, ha organizzato un volantinaggio nei pressi del Viminale per sensibilizzare sul tema della sicurezza delle forze dell'ordine. "Siamo sotto tiro, sembriamo l'orsacchiotto del lunapark", si legge nel manifesto che spiega le ragioni di questa rimostranza, che ha preso vita in seguito ai due eventi che si sono susseguiti nell'arco di 24 ore a Milano nei giorni scorsi. Prima l'aggressione al vice-ispettore Christian Di Martino, che ha rischiato la vita per numerose coltellate inflitte da un migrante, poi un'altra aggressione, sempre agli uomini in divisa, che non si è concretizzata solo perché un agente ha sparato per neutralizzare l'assalitore. Ma proprio per quello sparo, funzionale a evitare altri feriti, è stato posto sotto indagine.

"Se non ci difendiamo rischiamo la vita, se ci difendiamo prima che ci ammazzino, ci indagano. Dall'ospedale al tribunale il passo è breve. Chi difende più la gente comune?", si chiedono i poliziotti, che ora chiedono che venga restituita l'autorità e l'autorevolezza che vent'anni di politiche contrarie hanno tolto. Basta tornare indietro nel tempo di qualche mese per tornare allo scorso febbraio, quando i partiti di opposizione, così come il Presidente della Repubblica, hanno puntato il dito contro gli agenti per una carica durante un corteo, funzionale a impedire ai manifestanti di raggiungere obiettivi sensibili. Un copione che si ripete in ogni manifestazione, che di fatto delegittima l'azione della polizia agli occhi dei violenti, che si sentono autorizzati a delinquere anche in ragione del depotenziamento dell'arco di azione degli agenti.

"È tutto un paradosso e per questo scendiamo in strada, perché le istituzioni e la gente comune devono comprendere che la libertà di tutti passa per le regole e noi abbiamo il dovere di applicarle facendole rispettare", ci spiega Andrea Cecchini del sindacato Italia Celere. "È bene capirci, se continuiamo di questo passo non avremo forse noi il problema ma ce l'avrà la gente comune che non troverà difesa di fronte ai soprusi e alle violenze", prosegue, tornando poi sulle conseguenze che nascono dalla delegittimazione degli agenti.

Durante le manifestazioni ora c'è l'indicazione di "usare solo gli scudi" e non gli sfollagente per respingere i tentativi di forzatura dei cordone di sicurezza. Così aumentano i feriti tra gli agenti e si complicano le operazioni di contenimento.

"Le brave persone si sentono sole davanti ai prepotenti e questi ci chiamano fascisti se facciamo il nostro lavoro", si legge in un altro passaggio del manifesto. Sarebbe interessante sapere se chi critica la polizia perché fa il proprio lavoro si sia mai chiesto cosa succederebbe se gli agenti decidessero di non farlo più e scioperare.

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