Per Sergio Ramelli, il 13 marzo è un giorno come gli altri. Si sveglia, inforca il suo motorino per andare a scuola e poi torna a casa. Ma qui, ad attenderlo, c'è l'imprevisto: un gruppo di militanti di Avanguardia operaia, armati di chiavi inglesi, che comincia a colpirlo. La violenza si consuma in pochi minuti. Sergio fa solo in tempo a capire che è impossibile salvarsi. Di fuggire alla morte. Prova a scappare ma inciampa nel motorino. I kompagni gli sono addosso con una violenza inaudita. Dicono di volergli dare solo una lezione, ma fanno di tutto per ammazzarlo. Una donna dal balcone sente le urla del giovane. Implora il gruppo di lasciarlo stare, ma non c'è nulla da fare. Un colpo. Un altro colpo. Sergio è una maschera di sangue e viene lasciato lì. Qualcuno, mentre è a terra agonizzante, lo riconosce e lo porta nel palazzo in cui abita, in via Amadeo. Viene trasferito di corsa in ospedale, dove morirà 47 giorni dopo. La sua colpa? Essere fiduciario del Fronte della Gioventù e aver scritto un tema contro le Brigate rosse. Il testo viene letto in classe dal professore di Sergio e poi affisso in una bacheca del Molinari. La condanna è emessa. Sergio non può restare impunito. Deve pagare. E caro. Così sarà.
Attorno all'omicidio del giovane di destra, cala una cortina di silenzio per anni, come ricorda il magistrato Guido Salvini nella sua prefazione a Sergio Ramelli. Quando uccidere un fascista non era reato (Ferrogallico): "Gli assassini di Ramelli non facevano parte di una marginale banda di quartiere ma appartenevano ad un gruppo strutturato, il servizio d'ordine di Avanguardia operaia di Città Studi". Dieci anni dopo l'omicidio di Sergio, nel 1985, gli assassini "erano ormai diventati tutti medici, all’inizio della carriera, alcuni di loro appartenevano alla buona borghesia, uno era fratello del segretario milanese di Magistratura Democratica. La loro collocazione contribuì a spiegarci il silenzio che era stato conservato per anni sull’omicidio e il senso di qualche 'vocina' che nel corso delle indagini ci aveva consigliato di 'lasciar perdere' quel vecchio episodio".
Sono passati 48 anni da quel 13 marzo del 1975, ma la storia di Sergio Ramelli continua a fare ancora paura, come recita il titolo di un libro. In occasione dell'anniversario dell'aggressione, infatti, il sottosegretario all'istruzione, Paola Frassinetti, ha deciso di andare in visita al Molinari "per rendere omaggio alla memoria dello studente (...) barbaramente ucciso da studenti della Facoltà di Medicina (come successivamente appurato in sede processuale) nel periodo dei cosiddetti 'Anni di piombo', segnati da una tragica spirale di violenza politica", come si legge nella lettera del dirigente scolastico Davide Bonetti. Che aggiunge: "Fare memoria di quell'avvenimento significa, oggi, a quasi 50 anni di distanza, rinnovare un fermo NO alla violenza in genere, e in particolare a quella di natura politica, rafforzando il valore del dialogo e del confronto rispettoso, nel solco dei principi fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione, un compito che la scuola, e segnatamente il Molinari, sente come proprio e imprescindibile nella formazione dei giovani".
Apriti cielo. Sono state queste semplici parole di buonsenso a scatenare Memoria antifascista, associazione che ha lo scopo di conservare una memoria a senso unico (ovviamente di sinistra e rigorosamente antifà) sugli Anni di piombo. Nel comunicato diffuso, Ramelli viene bollato semplicemente come un "caduto fascista" e si afferma, con toni che sanno di vecchio e di stantio: "I lavoratori delle scuole di Milano credono sia importante denunciare un fatto così grave visto che la commemorazione della morte di Ramelli è strumentalizzata dai partiti post-fascisti per la loro propaganda politica ed è ancora più grave che ciò possa avvenire in una scuola pubblica da parte di un membro del Governo". Tutte accuse rispedite al mittente dalla Frassinetti: "Innanzitutto non è la prima volta che porto i fiori alla targa, che si trova all'interno del Molinari, in ricordo di Ramelli. In passato l'ho fatto anche con esponenti del Partito democratico e nessuno ha mai avuto nulla da eccepire. Inoltre, lo stesso sindaco di Milano, Beppe Sala, ogni anno si reca a rendere omaggio ai giardini intitolati a Sergio. Questa è una polemica allucinante e insensata, anche perché non è vero che sono stati dimenticati i ragazzi morti di sinistra in quegli anni, tanto che intendo portare i fiori anche alla targa nella scuola di Fausto Tinelli. Il messaggio che voglio dare è che questi atti di violenza che hanno connotato quel periodo non devono accadere mai più".
Sul caso interviene anche l'Anpi Milano: "L'Anpi ha da sempre fermamente condannato la brutale aggressione del giovane Sergio Ramelli che ne ha provocato la morte, dopo una lunga agonia.
Nel contempo abbiamo sempre dichiarato che il ricordo di Sergio Ramelli non deve costituire il pretesto, ogni 29 aprile, di manifestazioni di aperta apologia del fascismo organizzate a Milano dall'estrema destra", scrive in una dichiarazione Roberto Cenati, presidente Anpi provinciale di Milano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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