
"Uscito da quel colloquio aveva lo sguardo perso nel vuoto. L’assistente sociale ci ha comunicato che il giudice aveva deciso che il piccolo doveva andare in adozione in un’altra famiglia. Quella sera non ha dormito, piangeva, ci chiamava”. Sono queste alcune delle drammatiche parole del tragico racconto che fa a Quarta Repubblica la mamma di Luca, il nome è di fantasia, il bambino di 4 anni che - dopo un lungo periodo con la sua famiglia affidataria - è stato rapidamente strappato ai suoi affetti per essere adottato da un altro nucleo familiare. “Dal giorno successivo ha iniziato a mangiare le unghie delle dita e a fare la pipì a letto, condizione che avevamo superato". Lui non voleva andare: "‘Questa è la mia famiglia’, mi ha detto. ‘Io non voglio andare con quelle persone. Io ti voglio tanto bene, tu sei la mamma più bella del mondo’”.
Il caso di Luca, bambino dato in affido a soli 30 giorni di vita, ha sollevato molte discussioni in Italia. La famiglia affidataria di Varese, che lo ha cresciuto per quattro anni, ha presentato ricorso dopo che il Tribunale dei Minori di Milano ha disposto l'adozione del piccolo da parte di un'altra coppia. Tuttavia, l'opposizione della famiglia affidataria è stata respinta, lasciando Luca nelle mani della nuova famiglia adottiva. La decisione ha suscitato dubbi e polemiche nel mondo giuridico e tra gli esperti del settore.
Non solo per la decisione di “strapparlo” alla sua “famiglia” dopo quattro anni. Ma anche per le modalità con cui si è arrivati a questa condizione. Luca infatti è stato trasferito nella nuova famiglia in meno di 48 ore. Secondo Sara Cuniberti, avvocato della famiglia affidataria, ciò avrebbe violato il principio di continuità affettiva. "Il bambino è stato collocato senza gradualità. La sua relazione con la famiglia affidataria è stata troncata di netto dal giorno del trasferimento”, ha spiegato il legale. La famiglia affidataria sostiene di aver ricevuto dal tribunale l'indicazione a considerare l'adozione, ma di essere stata esclusa per questioni legate all'età. Su questo punto, si è espressa la presidente del Tribunale per i minorenni di Milano, Maria Carla Gatto, affermando che la coppia fosse consapevole delle proprie limitazioni nel percorso adottivo. Tuttavia, secondo la legge, il limite di età era derogabile nel supremo interesse del minore.
Originariamente progettato come temporaneo, l'affido di Luca si è prolungato fino a quattro anni, una durata inusuale. La presidente Gatto ha spiegato che, benché l'affido normalmente non superi i 24 mesi, può essere esteso per difficoltà legate ai genitori biologici, come disturbi mentali o dipendenze. L'avvocata Cuniberti ha replicato citando dati che dimostrano come molti minori in Italia restino in affido per oltre due anni.
“Il primo mese di vita Luca lo ha trascorso in un punto nascita - racconta a Quarta Repubblica la mamma affidataria - Ci voleva una famiglia ponte e noi abbiamo detto di sì”. Poi il tempo passa. Il bimbo “viene inserito all’asilo nido e all’infanzia e inizia a crescere nella nostra famiglia”. Per questo, alla fine, passati così tanti anni, "abbiamo chiesto l’adozione per casi particolari: il legame che si era creato è troppo forte”. All’improvviso, però, arriva una mail dai servizi sociali e al piccolo, oltre che alla famiglia affidataria, viene comunicata la scelta del Tribunale di darlo in adozione in un’altra casa.
Il trasferimento avviene rapidamente. Troppo rapidamente. La donna racconta che è stato lo stesso giudice ad andare a casa dalla famiglia affidataria per comunicare al piccolo che era arrivato il momento di andarsene. “Un giorno ricevo una telefonata: prepari il bambino, entro sera deve essere nella nuova famiglia. Velocemente abbiamo inventato una piccola valigia mettendo qualche suo vestito e qualche gioco. Ma non tutti. Perché lui era convinto di poterli ritrovare qui. Continuava a guardare me, mio marito, i nostri figli, la nonna. Noi abbiamo cercato di rinforzarlo col pensiero, dicendogli che è il bambino più bravo del mondo”. Poi, prima di entrare nell’auto dell’operatore - ricorda la mamma - “all’ultimo abbraccio mi ha detto: ‘Stasera mi vieni a prendere, vero?’. Io non ho risposto e lui se ne è andato”. Da quel giorno non hanno più avuto contatti, dopo quattro anni vissuti in famiglia. “Ci hanno detto che ha pianto. Che ha avuto momenti di vuoto e di silenzio. A detta degli operatori è normale che sia così. Che ci vorrà tempo. Ma noi volevamo almeno farlo incontrare con i nostri figli e con l’altro bambino in affido, che lui considera un fratello”.
Anche il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, si è espresso sulla vicenda durante un question time alla Camera. Ha affermato che verranno eseguite verifiche per comprendere se vi siano state lacune normative o cattiva applicazione delle norme esistenti. Nordio ha dichiarato: "Faremo accertamenti sull'affidabilità delle famiglie coinvolte o su possibili incompatibilità emerse già al momento dell’affido".
"La giudice togata - ha concluso la mamma affidataria di fronte alle telecamere di Nicola Porro - ci ha detto che è colpa nostra e che non ci si deve affezionare. Ci ha accusati di aver permesso a questo bambino di chiamarci mamma e papà".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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