La7 e i dubbi su quell'inchiesta proveniente dal "verminaio" giudiziario

La campagna mediatica di Piazzapulita, trasmessa sulla tv di Urbano Cairo, è finita nel mirino degli inquirenti, che indagano su “invii” di file riservati da parte del finanziere presunto infedele in servizio alla Dia, Pasquale Striano, proprio ai colleghi del Domani

La7 e i dubbi su quell'inchiesta proveniente dal "verminaio" giudiziario
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Dalla macchina del fango alla macchina dell’humus? La prima definizione è stata negli anni spesso sfoderata da sinistra per ogni inchiesta - va da sé, frutto dei giornali del campo avverso - che a quelle latitudini provocava un qualche fastidio. E pazienza se poi la cronaca ci dava ragione: l’importante era infangare la “macchina del fango”, sperando si inceppasse. Nessuno, invece, sembra turbato dal “riciclo” di informazioni riservate al centro dell’inchiesta sui presunti dossieraggi, come se chi solleva la questione stesse attentando alla libertà di stampa.

Il problema è che se è assolutamente legittimo fare le pulci a chiunque – compreso l’editore di questo quotidiano, ovvio – non sembra invece altrettanto trasparente la modalità utilizzata sull’asse Piazzapulita-Domani, con le inchieste su Antonio Angelucci dei cronisti del quotidiano edito da Carlo De Benedetti e riutilizzate per il programma di Corrado Formigli. La questione non sta nel fatto che quei giornalisti intervistati dalla trasmissione siano indagati – sono i rischi del mestiere – né si discute della libera scelta di Piazzapulita di riprenderne le inchieste per costruirvi un servizio. Il nodo, tutt’altro che trascurabile, è un altro: proprio quella campagna mediatica contro l’imprenditore e parlamentare leghista è finita nel mirino degli inquirenti, che indagano su “invii” di file riservati da parte del finanziere presunto infedele in servizio alla Dia, Pasquale Striano, proprio ai colleghi del Domani.

Vero è che l’inchiesta sui cosiddetti “dossieraggi” al momento è in ghiaccio, ferma, immobile, dopo il trasferimento da Perugia alla procura capitolina. Ma questa non dovrebbe essere una buona notizia per nessuno, considerando che proprio il procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, aveva provveduto circa un anno fa, audito in commissione Antimafia, a sgomberare il campo da dubbi quanto alla “serietà” dell’indagine. Parlando di “numeri mostruosi”, di “verminaio”, di “vicenda oggettivamente molto grave”, visti gli oltre 33mila accessi alla banca dati riservata della Direzione nazionale Antimafia. E d’altra parte lo stesso procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, nella sua audizione a Palazzo Macuto, aveva parlato di “estrema gravità dei fatti”. Val la pena anche ricordare che la presidente della Commissione Antimafia, Chiara Colosimo, in diverse occasioni - anche a questo quotidiano - ha ribadito che l’organismo parlamentare dovrà tra le altre cose rispondere ad alcune domande fondamentali: chi ha ordinato gli accessi, perché, e a chi potevano servire.

Insomma, anche se da quando il fascicolo è stato trasferito a Roma, è calato un silenzio che lascia spazio a nuove perplessità, più che a certezze, ciò non vuol dire che la questione non esista, tantomeno che sia stata archiviata.

E una volta ribadito che ognuno è libero di indagare su ciò che ritiene opportuno, visto che per fortuna la stampa è libera, dovrebbe esserci anche la libertà di sollevare qualche dubbio sull’opportunità di utilizzare, per un’inchiesta giornalistica, materiale proveniente da quello che il magistrato che ha avviato le indagini ha definito senza mezzi termini “verminaio”. Dubbi che si fanno ancor più legittimi se quel materiale, mentre gli inquirenti sono ancora al lavoro sulla sua provenienza, viene poi rilanciato in tv, su La7, in prima serata.

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