È stato trovato a Campobello di Mazara, in provincia di Trapani, il covo di Matteo Messina Denaro. A rinvenire la "tana" sono stati i carabinieri del Ros e la Procura di Palermo: le ricerche sono state coordinate dal procuratore aggiunto Paolo Guido. Come riferito dall'Ansa, il nascondiglio sarebbe nel centro abitato. L'ex latitante è stato arrestato nella giornata di ieri e a distanza di poche ore è arrivata la scoperta del covo, che è finito al centro delle perquisizioni del caso per l'intera nottata appena trascorsa.
Cosa c'era nel covo di Messina Denaro
Come si è arrivati a individuare la struttura? Gli investigatori erano partiti anche dall'automobile utilizzata dall'esponente più significativo della criminalità mafiosa per raggiungere la struttura sanitaria. In tal senso è stato spiegato che "proveniva dal suo territorio". Da qui la decisione di concentrare fin da subito le ricerche in particolar modo sulla zona di Campobello di Mazara, vicino al paese di Messina Denaro. Fabio Bottino, comandante provinciale dei carabinieri di Trapani, ha spiegato: "Abitava qui da almeno sei mesi. Un appartamento, ben ristrutturato, che testimonia che le condizioni economiche del latitante erano buone".
Certamente l'individuazione del covo e la relativa perquisizione rappresentano tappe fondamentali nella ricostruzione della latitanza di 30 anni. Stando a quanto appreso e riferito dall'Adnkronos, nella "tana" non sarebbero state ritrovate armi: i carabinieri del Ros avrebbero rinvenuto molti abiti di lusso (firmati) e diversi profumi (anche questi di lusso). Inoltre l'arredamento viene definito "ricercato". L'Ansa ha aggiunto che sarebbero stati trovati anche sneakers griffate, un frigorifero pieno di cibo, pillole per il sesso e profilattici.
Il Generale Pasquale Angelosanto, comandante dei Ros, ai microfoni di SkyTg24 ha auspicato di trovare "elementi significativi per lo sviluppo delle indagini e per capire chi ha protetto il latitante, faremo repertamenti biologici a questo scopo". Potrebbe essere l'abitazione utilizzata nell'ultimo periodo come stabile occupazione. L'ipotesi è che il boss, arrivato ieri a Pescara, venga detenuto nel carcere de L'Aquila perché si tratta di una struttura di massima sicurezza che ha già ospitato personaggi di spicco.
Il "buco" della rete di protezione
Il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, nell'intervista rilasciata a ilGiornale in edicola oggi, ha spiegato che l'essersi mimetizzato nella sua città non è altro che un "tratto comune" a molte altre catture di latitanti che sono avvenute nel passato: "È evidente che il muro di omertà e di connivenze è stato pazientemente scardinato anche in questo caso dalle forze di polizia". E ha mandato un messaggio chiaro a mafiosi e terroristi: "Si prosegua incessantemente nella giusta direzione di assicurare prima o poi tutti alla giustizia".
Non a caso Teo Luzi, il comandante generale dei carabinieri, ha fatto sapere che le ricerche si sono sempre concentrate in Sicilia: "Eravamo pienamente consapevoli di dover trovare un buco nella rete di protezione del capo". Una "rete" che è risultata difficile da penetrare. Alla chiusura del cerchio si è arrivati in seguito a uno screening nelle cliniche private e nelle strutture pubbliche sulle persone curate per quella particolare patologia.
Inoltre è stata tenuta sotto controllo "la cerchia di fiancheggiatori che evidentemente gli hanno dato copertura".
Il risultato è stato raggiunto grazie al "gioco di squadra con la polizia e con i magistrati che alla fine si è rivelato vincente". Dunque il gruppo di investigatori dedicati esclusivamente all'indagine su Matteo Messina Denaro è stato in grado di "afferrare il filo giusto".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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