Gli ultimi tre giorni di papa Benedetto XVI

Pubblichiamo, per gentile concessione delle edizioni il Timone, un estratto di Benedetto. L’eredità e la lezione di Joseph Ratzinger (con introduzione del suo biografo ufficiale, Peter Seewald)

Gli ultimi tre giorni di papa Benedetto XVI
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Ho incontrato per la prima volta di persona Papa Benedetto XVI dopo essere stato nominato membro della Commissione teologica internazionale, della quale era presidente l’allora cardinale Ratzinger come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Questa Commissione, composta da circa 30 teologi di tutto il mondo, ha il compito di studiare delle questioni teologiche e di consigliare il Papa e la Congregazione per la Dottrina della Fede in merito. Il cardinale Ratzinger, che quindi ho avuto la grazia di incontrare piuttosto spesso in quel periodo, non prendeva spesso la parola durante le sessioni plenarie. Ma quando lo faceva, sapeva come analizzare in modo ineccepibile e delicato una questione teologica e ridurla alla sua essenza. Era un uomo amichevole, servizievole e un po’ timido che, tra l’altro, quando si trattava degli insegnamenti della Chiesa cattolica romana, era molto deciso e chiaro. Dopo che il cardinale Ratzinger è diventato Papa nel 2005, l’ho incontrato regolarmente - anche se brevemente e fugacemente - nelle udienze che ha concesso ai membri della Pontificia Accademia per la Vita (il “think tank” medico-etico della Santa Sede). In quelle udienze ha sempre tenuto discorsi lucidi, che dimostravano la sua grande competenza, anche nel campo dell’etica e della teologia morale. Ho un ricordo molto bello della Festa dei Santi Pietro e Paolo del 2008. Nel gennaio di quell’anno avevo assunto l’incarico di Arcivescovo di Utrecht. In detta solennità il Papa impone il pallio agli Arcivescovi nominati nell’anno precedente. Quando mi impose il pallio, si chinò e mi disse dolcemente: «La sua situazione sarà difficile per Lei, ma può contare sulle mie preghiere». Era perfettamente consapevole delle difficoltà che ho incontrato all’epoca. Le sue parole e il suo sguardo esprimevano una compassione calda e genuina che ancora oggi riesce a commuovermi.

Dopo che Papa Benedetto mi ha creato cardinale, ho avuto contatti più frequenti e intensi con lui. Sono stato uno degli ultimi cardinali che ha ricevuto in udienza privata prima della sua abdicazione. È successo un venerdì mattina, l’8 febbraio 2013. Prima di entrare, un membro dello staff mi ha avvertito che non dovevo - a differenza di molti altri - rialzarmi tenendomi alla mano del Santo Padre quando mi inginocchiavo davanti a lui, perché altrimenti sarebbe caduto. Sembrava un consiglio eccessivo, ma quando sono entrato nella sala di ricevimento sono rimasto scioccato: il Papa appariva pallido e smunto e doveva aggrapparsi al tavolo per rimanere in piedi. Mi è passato per la testa il pensiero: «Come può una persona in condizioni fisiche così precarie guidare la Chiesa mondiale?». Papa Benedetto aveva già risposto da solo a questa domanda. Tre giorni dopo, lunedì 11 febbraio 2013, ha annunciato che avrebbe abdicato. Tra l’altro, ha dato questa notizia nel suo modo caratteristico: con un discorso in latino. Si è congedato dal Collegio cardinalizio il 28 febbraio, poco prima di partire in elicottero per Castel Gandolfo.

Ogni cardinale ha potuto salutarlo brevemente di persona. Mi strinse a sé con entrambe le braccia e mi disse: «Bleiben Sie immer auf dem rechten Weg» («Rimanga sempre sulla strada giusta»). Poteva dirlo perché lui stesso aveva scelto la strada giusta.

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