“Cosa state facendo? Giuro vi taglio la gola”. È arrivato urlando, il nordafricano che ci ha minacciato mentre eravamo dentro il Silos di Trieste a documentare le condizioni disumane in cui vivono i migranti della rotta balcanica.
Nell’inferno di immondizia e criminalità vivono principalmente afghani e pakistani, reduci da un cammino lungo anche un anno e che una volta arrivati in Italia restano fuori dal sistema accoglienza per qualche mese, costretti così a vivere in condizioni indecenti. Ma non è solo questo, il posto è infatti “comandato” da gerarchie che mettono paura ai nuovi arrivati.
Un’ascia in mano e una corsa verso di noi, così ci siamo ritrovati faccia a faccia con uno dei capi del Silos. “Questa è casa mia, cosa ci fate qui dentro?”, e ancora: “Vi ammazzo”. La nostra presenza non era gradita, motivo per cui siamo stati costretti ad abbassare le telecamere ma ciò non è bastato. L’uomo, di fronte a noi, ha estratto un coltello e si è avvicinato puntandolo alla gola: “Non scherzo, avete ripreso dentro casa mia e ora vi taglio la gola”. Nonostante il tentativo di mediazione, calmare questa persona non è stato facile. Le urla e le minacce contro di noi sono andate avanti, agitando prima l’ascia arrugginita con cui si è scaraventato davanti a noi e poi l’affilato coltellino che aveva in tasca. “Voi non potete stare qui, non potete far vedere questo posto. Io ci vivo” ha continuato blaterando in uno stato di agitazione molto forte, probabilmente sotto stupefacenti.
I migranti della rotta balcanica, che ci avevano permesso di entrare, nonostante fossero spaventati delle possibili reazioni dell’uomo ci hanno detto “essere all’ordine del giorno” queste cose. Infatti il nordafricano non è un migrante della rotta balcanica ma uno che vive nell'edificio, ex parcheggio accanto alla stazione di Trieste, stabilmente. Lui, con i suoi uomini, controlla ciò che succede e detta leggi all’interno. “Noi vogliamo che si veda come viviamo, la situazione è insostenibile”, ci raccontano i giovanissimi reduci dal cammino. “Ma lui e i suoi uomini no. Loro qui fanno i loro affari sporchi”. All’interno del Silos infatti non c’è solo disperazione e degrado ma anche spaccio di droga e traffico di esseri umani.
“Lui è il passeur”, ci raccontano. In pratica, l’uomo che ci ha minacciato - insieme ai suoi - oltre a spacciare è colui che, mettendosi d’accordo con altre figure in altri stati confinanti con l’Italia, vende i migranti, organizza viaggi e si fa pagare profumatamente per farli arrivare a destinazione. “La maggior parte delle volte è una truffa, ci promettono di arrivare in un posto, paghiamo ma alla fine non arriviamo mai. E’ successo a molti nostri amici”, continua un afghano a raccontarci.
Il clima di controllo e sorveglianza all’interno dello stabile si nota subito, infatti. Anche noi, che dopo le minacce ci siamo allontanati verso la parte opposta dello stabile siamo stati seguiti da uno degli uomini “controllori”. Ed è così che abbiamo ricevuto nuove minacce. Un altro nordafricano, con uno walkie talkie non ci ha mollato nemmeno un secondo. Nel momento in cui abbiamo acceso di nuovo la telecamera per riprendere un gruppo di pakistani che, tra topi e vetri rotti, giocava tranquillamente a carte, l’uomo ha riferito che “non avevamo capito”. “Sono ancora qui, stanno riprendendo, vieni” ha detto nel dispositivo. Dopo nemmeno un minuto il capo era di nuovo di fronte a noi.
“Volete davvero che vi sgozzi, io non scherzo. Vi ammazzo e ammazzo tutti qui dentro” ci ha gridato, di nuovo con il coltello in mano. “Dammi il cellulare”, si è avvicinato a me con il coltello strattonandomi. “Dammi subito il cellulare, sei entrata a casa mia e ora vedi cosa ti succede”.
Fortunatamente i profughi, abituati probabilmente all’ira di chi comanda, sono riuscita ad allontanare l’uomo che però ci ha seguiti, con il coltello alla schiena fino all’uscita. “Se vi vedo un’altra volta qui dentro non uscite vivi”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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