Milano - Il tesoro, ovviamente, stava in una cassaforte. Quando i finanzieri la aprirono, trovarono una lunga lista della spesa. Una contabilità parallela. Strane fatturazioni. E poi, decine di finanziamenti. Alcuni leciti, altri quantomeno sospetti. Un libro mastro che raccontava una lunga storia di opacità. La cassaforte era di Piero Di Caterina, titolare della società di trasporti pubblici Caronte srl, la gola profonda dell’inchiesta monzese sul «sistema Sesto» che ha messo nei guai l’ex braccio destro di Pier Luigi Bersani, Filippo Penati. Come riportato nei giorni scorsi, in quella cassaforte le fiamme gialle scoprirono anche una serie di pagamenti destinati alla politica nazionale. Circa cento milioni di lire, versati in tranches da 10, venti o trenta milioni per volta. E, secondo quanto risulta al Giornale, su quelle carte compariva anche un nome. Quello di Francesco Rutelli.
Perché Di Caterina, considerato dagli inquirenti il collettore delle tangenti per i democratici di sinistra prima, e per il Pd poi, avrebbe dovuto girare dei soldi all’attuale presidente dell’Api? È la data che crea il link. Perché tutto accade nel corso dell’anno 2000. Di lì a poco, gli italiani saranno chiamati a votare. Elezioni politiche nazionali. Da un lato, Forza Italia, Alleanza Nazionale, Centro Cristiano Democratico-Cristiani Democratici Uniti, Lega Nord, Nuovo Partito Socialista Italiano compongono la coalizione di centrodestra. E dall’altra c’è l’Ulivo, con Democratici di Sinistra, Margherita, Federazione dei Verdi, Socialisti Democratici Italiani, Partito dei Comunisti Italiani. E candidato premier - e sfidante di Silvio Berlusconi, che alla fine uscirà vincitore dalle urne - è appunto Rutelli.
Nelle carte sequestrate dalle Fiamme gialle, dunque, si trova traccia di presunti pagamenti effettuati da Di Caterina in favore dell’allora leader della coalizione di centrosinistra. Attenzione, però. Nessun reato è contestato a Rutelli né - almeno per questo specifico episodio - al titolare della Caronte. E il motivo sostanzialmente è uno: la prescrizione. La Gdf, infatti, perquisisce gli uffici della società di trasporti nel maggio dello scorso anno. Quando, cioè, sono passati dieci anni dall’eventuale illecito. Troppo tempo, secondo il codice penale. Per questo, nell’enorme mole di accertamenti necessari all’indagine, la pista di quel finanziamento viene abbandonata. Inutile, per gli investigatori, perdere tempo e risorse per infilarsi in una strada senza uscita. Resta così un appunto ambiguo in una cassaforte, che non dice se la cifra sia stata data effettivamente oppure no. È inoltre possibile - nel caso in cui il passaggio di denaro sia avvenuto - che i 100 milioni di lire siano stati regolarmente registrati come finanziamento, escludendo ogni ipotetico illecito. D’altro canto, un’altra possibilità è che quei soldi nascondessero un reato a monte. Ovvero, che fossero il frutto - così come sostengono i pm di Monza in relazione a molte altre operazioni contestate a Di Caterina e agli altri indagati - di un giro di false fatturazioni e di ingegneria finanziaria che avrebbero comunque «inquinato» quel versamento, rendendolo irregolare. Ma il tempo, come detto, ha sepolto tutto.
Così, i cento milioni - leciti o meno - passano in cavalleria. I pubblici ministeri Walter Mapelli e Franca Macchia, che da sei mesi lavorano all’inchiesta dopo che i colleghi milanesi hanno trasmesso gli atti - si concentrano su piste più attuali, e che coinvolgono direttamente l’ex vicepresidente del consiglio regionale lombardo Filippo Penati: il giro di presunte mazzette per la riqualificazione dell’ex Falck di Sesto San Giovanni, il ruolo delle coop e di Omer Degli Esposti (vicepresidente del Consorzio cooperative costruttori di Bologna, indagato), e la compravendita di Serravalle. Tutti fronti che fanno tremare i vertici del Pd. A verbale, infatti, il costruttore Giuseppe Pasini - a cui Penati avrebbe chiesto una maxi tangente da 20 miliardi di lire -, ha raccontato di aver pensato che tutti quei soldi rappresentassero «un pagamento a livello nazionale all’interno del partito». Non più, dunque, il «cortile» sestese. Ma Roma.
E anche su queste vicende, Rutelli si è esposto negli ultimi giorni. «Non voglio intervenire in questioni interne ai partiti - ha detto il senatore e co-presidente del Partito Democratico Europeo -, ma credo che siamo tutti interpellati, di fronte a una corruzione che aumenta, ad alzare al massimo la guardia ed essere al massimo intransigenti». Per questo, andrebbero spiegati anche quei 100 milioni che Di Caterina ha annotato sulla sua contabilità. Se siano effettivamente arrivati all’Ulivo. Se l’allora candidato premier ne abbia avuto contezza. Se sia stato a conoscenza del profilo ambiguo dell’imprenditore.
O se - come sostiene Penati - Di Caterina abbia chiamato in causa la politica per sgusciare dai propri guai giudiziari. Perché un conto sono gli eventuali reati, altra cosa è la «questione morale». I primi si prescrivono. La seconda no.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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