Il pittore curioso, sensibile, raro Giuseppe Salvatori mi invia una lettera, battuta a macchina in caratteri rossi (dice: «trovata online»), di Julius Evola, del 3 febbraio 1963, indirizzata a un Signor Freda, che potrebbe essere Franco Freda, detto «l'Editore», ritenuto colpevole di associazione sovversiva per la costituzione del Gruppo di Ar, formato da sostenitori della casa editrice di ispirazione neofascista, tradizionalista e neonazista Edizioni di Ar (abbreviazione di «Aristocrazia ariana», da lui fondata nel 1963 e poi diretta. Mi pare, e deve essere parsa a Salvatori, molto interessante perché entra nella sfinita polemica che ritorna periodicamente, come un'ossessione illiberale (e anche per questo anomala), ogni vota che si ripropone il nome del filosofo.
Era accaduto con un uno furioso articolo di Mirella Serri, a margine di una mostra da me voluta sulla pittura di Evola al Mart di Rovereto. La Serri aveva scritto: «Va detto e ricordato. Chi organizza una mostra dedicata a Evola, pittore sconosciuto al largo pubblico, ha il dovere etico, lo ripeto etico, di raccontare chi è stato Evola, di descrivere l'artista, il politico, l'uomo. Dopo essere stato un brillante avanguardista nell'arte, come mai Evola dopo pochi anni si collocò all'opposto delle correnti più moderne? Fu un opportunista, dal momento che in Europa dominavano i totalitarismi? Perché denunciò il suo maestro Tzara, che aveva amato e incontrato di persona a Parigi, come ebreo da mandare insieme a milioni di altri ebrei allo sterminio? Evola peraltro non è un redento, non ha mai cambiato casacca ed è sempre rimasto fedele a se stesso. Negli anni Sessanta, quando aveva ricominciato a dipingere, preciserà di non essere mai stato un seguace di Hitler bensì di Himmler (...)».
Preoccupazioni impertinenti e infondate. Nella presentazione della mostra era già tutto chiarito. Da lì nacque una infinita polemica che, contro Evola, arrivò a negare anche l'interesse dei suoi dipinti, i primi astratti in Italia, tra il 1915 e il 1921, prima cioè del Fascismo. Intervennero somari di ogni tipo, indifferenti alla storia, a giudicare dipinti di inevitabile interesse, fino a quando non si manifestò inatteso Giampiero Mughini a tacitarli con parole definitive e, d'altra parte, imprescindibili. La polemica riprese alla fine di agosto con un'altra patetica vicenda di intolleranza e di censura. A prendere la parola è stato, con ingiustificata supponenza, Nedo Vinzio, il Presidente dell'Anpi Valle d'Aosta: «L'incontro di oggi si tiene in una delle valli più attive durante tutto il periodo resistenziale. La Valle del Lys ospita ad esempio il Museo della Resistenza, o la Campana Aurora, che ogni giorno ricorda la nascita del movimento della Resistenza con i suoi rintocchi alle 9,15, l'orario in cui venne sparato il primo colpo». Nonostante questo glorioso precedente patinato, Gressoney-La-Trinité ha concesso il 2 settembre la sala consiliare comunale per accogliere l'incontro «Tra Filosofia e alpinismo a Gressoney: Julius Evola». L'incontro su Evola non era stato organizzato dall'Amministrazione Comunale, bensì dal dottor Angelo Parrella, laureato in filosofia. «Ha richiesto di poter ospitare in un luogo pubblico comunale una conferenza da lui organizzata dedicata al tema dell'alpinismo e della filosofia ad esso connesso, garantendo che l'evento sarebbe stato di natura non politica ed esclusivamente letteraria», ha specificato il sindaco di Gressoney-La-Trinité, Alessandro Girod.
In risposta, si è deciso di organizzare una originale conferenza di Gad Lerner, in vacanza colà, presumo. «Siamo qui - ha detto Lerner - per esprimere una civile protesta. Sono rimasto senza parole quando mi hanno mandato la locandina di una convocazione in una sede pubblica, in un comune nella Repubblica Italiana, di un convegno su Julius Evola nella quale costui viene presentato come uno dei maggiori pensatori del Novecento italiano (...)». «Julius Evola - ha aggiunto lo storico Alberto Cavaglion - ha scritto molto sulla negrizzazione dell'America, diceva che era la corruzione della civiltà occidentale, che proseguiva dall'ebraismo al jazz che lui stesso chiamava musica da negri. Definiva Ella Fitzgerald non solo negra, ma una massa informe e urlante di carne». Ancora Lerner: «Stiamo trattando di colui che ha scritto la prefazione della traduzione italiana dei Protocolli dei Savi di Sion, un falso documento creato dalla polizia segreta zarista! Lui sapeva che erano un'invenzione costruita per alimentare l'odio contro gli ebrei, ma diceva che vi riconosceva una certa autenticità nel denunciare questa razza predatoria contro la quale il mondo deve ripulirsi. Vedeva le SS come il nuovo ordine cavalleresco, quest'uomo». Gli stessi vieti argomenti della Serri.
La lettera ritrovata da Salvatori smonta tutte queste illazioni, e smentisce anche il rischio di una sopravvalutata influenza di Evola sulle nuove generazioni. Nelle parole di Evola tutto è chiaro, anche il rischio di una strumentalizzazione, da lui non autorizzata, da parte di un personaggio che, nel ripetersi di luoghi comuni, è stato ritenuto seguace di Evola. Ecco il testo: «Egregio sig. Freda, ho avuto la Sua lettera e La ringrazio per l'attenzione dedicata alla mia attività. Se vedo con simpatia iniziative come quella di cui Lei mi dà notizia, per il loro valore, almeno, dimostrativo, non credo tuttavia di poter andare incontro al Suo desiderio; le esperienze fatte mi consigliano a non affiancarmi ormai a nessuna formazione che anche consequenzialmente partecipi a una lotta politica. Il mio punto di vista, oggi, è quello di cui il mio ultimo libro, Cavalcare la tigre, può dare un'idea. Proprio in questo periodo mi era venuto in mente di ripubblicare una rivista che già diressi nel 1930, e che già a quel tempo suscitò molto rumore, La Torre, però con il sottotitolo provocatorio: quindicinale del pensiero reazionario e antisociale. Si sarebbe trattato di una pura azione aggressiva e di rottura, anticonformista in ogni senso e su tutti i piani, senza nessun intento costruttivo: da anarchici di Destra, sullo stile della rivista Lacerba del Papini del 1914, naturalmente con un ben altro sfondo dottrinale, sia pure tacito. Ma sembra che le condizioni, soprattutto materiali, per realizzare una simile iniziativa non esistano. Con auguri e cordiali saluti. J. Evola».
Una lettera come questa, nella sua semplicità, basta a escludere la pericolosità del pensiero di Evola, la sua preclusione rispetto a qualunque strumentalizzazione, la sua estraneità a qualunque formazione politica, e la sua rassegnazione. Tutto questo, con la testimonianza chiara e la risposta diretta, nei tempi e con la persona più pericolosa per un rigurgito neonazista, di Evola, dissipa le preoccupazioni della Serri e i deliri intellettualistici di Gad Lerner. Resta impressionante, ed è accaduto, si parva licet, anche al generale Vannacci, che un pensiero difforme, che resta nell'ambito delle parole, determini reazioni così sproporzionate, come se la società potesse veramente essere impressionata e turbata da una astratta concezione non riducibile al pensiero unico, ma dichiaratamente indisponibile a tradursi in azione politica. Il vero pericolo è in questo totalitarismo delle idee corrette. Con grande semplicità, Evola se ne mostrava cosciente fino al punto di rinunciare a qualunque, seppure velleitaria, strumentalizzazione.
E a puntualizzarlo onestamente al protervo Freda, animato da intenzioni sovversive, da Evola respinte con l'esplicita puntualizzazione «senza nessun intento costruttivo». Più chiaro di così! Non nel mio nome, gli dice esplicitamente e semplicemente Evola. Non resta che rassegnarsi alla prepotenza di chi ti considera pericoloso solo perché hai un pensiero diverso. Anche senza fare nulla.
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