L'ultimo dei moderni quest'anno farà centodue anni, ma ogni mattina alle nove si tuffa nel suo mondo fatto di matite e ci resta fino alle nove di sera, tracciando segni, coordinate, fantasie. Ha qualche problema solo con la vista, ma i medici non gli piacciono, non li vuole intorno, gli tolgono la concentrazione. Vive a Rio, affacciato sulla spiaggia di Copacabana. Fuma sigari, cubani, piccoli. La volontà però non è mai invecchiata. Progetta ancora il futuro lui che aveva vent'anni, quando Lindbergh attraversò l'Atlantico in solitaria, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti salivano sul patibolo, e a Marktl am Inn nasceva Joseph Alois Ratzinger, futuro papa Benedetto XVI.
Oscar Niemeyer ha progettato più di cinquecento edifici sparsi in tutto il mondo, compresi, tanto per dirne qualcuno, la sede della Nazioni Unite di New York, il palazzo Mondadori di Segrate, la torre della Défence a Parigi, lo stadio Maracanà di Rio de Janeiro. Ma è diventato famoso per aver progettato una capitale intera, Brasilia, che doveva diventare la città più bella del mondo e che oggi più che altro è il centro di centinaia di sette religiose. Una città messa al mondo su un altopiano desertico nello Stato di Goias: misero insieme un cantiere gigantesco, migliaia e migliaia di operai, in meno di tre anni presentarono al mondo la realizzazione di un sogno: «Ho sempre cercato di fare un'architettura diversa. Brasilia può piacere o no, ma non somiglia a nulla di già visto».
Un'operazione costata più di due miliardi di dollari, per dirigere la quale l'«engenheiro arquiteto», così giurano, percepì lo stipendio di un normale impiegato. Oggi i conti li fa solo col presente, non ha tempo e voglia di rassegnarsi: «I bilanci non sono importanti. L'importante è uscirne come una persona che sa che la vita è un minuto, niente di importante». Dice di pensarla come Schopenauer: «Tutta la vita è espressiva: vedere, ridere piangere... ».
Uno dei suoi ultimi contributi è stato per un'opera italiana rimasta ferma per quasi nove anni bloccata dalla burocrazia e dalle polemiche: l'auditorium di Ravello, sulla costiera amalfitana, un gioiellino disegnato su trentasette tavole, che dovrebbe essere inaugurato il prossimo 25 settembre, alla fine del festival di Ravello, forse con un concerto di Riccardo Muti. Vicenza poi gli ha appena dedicato una mostra, Gucci si è ispirato a lui per la sua ultima collezione fatta di uomini candidi, Philippe Daverio è andato a intervistarlo per la Rai nel suo studio di Rio de Janeiro con la troupe di Passepartout «e l'ho trovato più lucido di me...». Qualche caduta di stile ce l'ha anche lui che ha fatto dello stile la sua vita: è uno dei cinquecento intellettuali brasiliani che ha firmato l'appello contro l'estradizione dell'ex terrorista Cesare Battisti. E anche le ultime sue opere sono finite all'indice.
Ma lui ha già altro per la testa, altre idee, altri progetti. Disegnare non gli basta. A più un secolo di età vuole ancora lasciare un segno nel futuro. Purché non sia solo una firma sotto un appello.
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