No, quel ladro non ha solo «sbagliato»

La tragica vicenda di Aprilia, la cittadina laziale dove un tabaccaio esasperato dai furti ha sparato e ucciso un ladro, evidenzia due aspetti, contraddittori e paradossali, che ricorrono sovente in situazioni del genere: chi fa fuoco sostiene che non voleva uccidere; chi piange la morte del congiunto chiede «giustizia».
Reazioni comprensibili, per carità. Ampiamente giustificabili e giustificate, di due persone entrambe «vittime» - ovviamente in maniera diversa - di un evento luttuoso. Il tabaccaio che ha difeso la sua famiglia e i suoi beni imbracciando il fucile non è un pistolero e sono quindi naturali il suo smarrimento e il suo dramma personale nel momento in cui ha realizzato di aver tolto la vita a un altro essere umano, a un ragazzo. Guardando la «faccia pulita» della fotografia di Daniel Margineau, il romeno ucciso, è poi difficile non pensare che «morire a vent'anni per aver rubato qualche stecca di sigaretta è assurdo».
Comprensibili sono quindi il dolore, e persino la rabbia, di Mioara, la sorella del giovane, che urla la sua richiesta di «giustizia», una parola che, se per tutti è un concetto mutevole, per Daniel doveva avere anche un significato alquanto vago. La ragazza romena - ferita in uno degli affetti più cari - invoca per il tabaccaio una punizione che ha però il sapore forte e amaro della vendetta. «Non si può pagare con la vita uno sbaglio: chi ha ucciso mio fratello deve andare in galera, deve pagare», sostiene in lacrime Mioara. Non riconosce alcun diritto a Davide Mariani, men che meno quello sacro e inviolabile alla sicurezza.
Nella foga e nella tempesta dei sentimenti, nell’angoscia disperata della sofferenza, non si rende conto di impetrare una risposta «legale» da quello Stato di cui suo fratello ha mostrato di ignorare proprio i principî di legalità. E poi insiste nell’affermare che quel ragazzino dagli occhi chiari e dal ciuffetto sbarazzino, che non sorride alla macchina fotografica e ha il viso imberbe di un liceale, ha commesso uno «sbaglio».
Ma quello di Daniel non è stato un «errore». Ciò che ha fatto non ha nulla a che vedere con la fesseria che a vent’anni chiunque può compiere, la stronzata che si fa da ragazzi. Daniel e i suoi amici hanno preparato «il colpo» nei minimi dettagli, hanno messo delle pesanti fioriere in mezzo alla strada per impedire l’eventuale passaggio di Volanti o Gazzelle, hanno sbarrato la porta di casa del tabaccaio con del filo elettrico, lo hanno minacciato urlando «provaci ancora e uccidiamo te e la tua famiglia» quando Davide Mariani ha esploso un colpo di fucile in aria sperando che i quattro desistessero e se ne andassero.

«Uccidiamo te e la tua famiglia», come altri banditi gli avevano sibilato nel corso di un’altra rapina, una delle quattro subite negli ultimi due anni.
No, Daniel non è morto per uno «sbaglio». Ma per una vita sbagliata. Si può essere umanamente vicini a una sorella che lo piange, non a una donna che pretende sia vendicato.
Mario Celi

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