Alessandro M. Caprettini
da Roma
Vince il «no» distanziando di più di 20 punti percentuali chi riteneva giusta lidea di cambiare Costituzione. Ma il risultato che si legge tra le righe dice molto ma molto di più. Racconta di una adesione superiore alle attese: era da 10 anni - come ha ricordato Giuliano Amato - che non si superava il 50,1% dei votanti complice la referendum-mania degli ultimi tempi. Stavolta ha votato il 53,6% degli italiani.
Vince il «no», e per distacco. Ma unennesima volta si è dimostrato che buona parte del Nord è in sofferenza. Lombardia, e Veneto hanno fatto prevalere i sì, in Piemonte e Friuli il no è passato dopo testa a testa. Più marcata la differenza in Liguria e scontata laffermazione degli oppositori in Val dAosta e Trentino Alto Adige dove si rimane regioni a statuto speciale e non alla pari delle altre. Mentre il Centro-Sud ha generato una valanga di no, per motivi ideologici (Emilia, Toscana) e forse anche per qualche timore (il Mezzogiorno).
Ma dice soprattutto il voto di domenica e lunedì che a questo punto - tranne colpi di scena - le riforme tornano in un cassetto da dove chissà quando verranno rispolverate. Perché se il buongiorno si vede dal mattino, non si possono sottacere le posizioni di chi - e sono parecchi - da sinistra ha già fatto sapere che la vicenda è da considerarsi chiusa. E per sempre. La sinistra diessina, con Salvi e Villone, ha infatti sentenziato che il ricorso al popolo sovrano manifesta la volontà di rimanere fedeli allimpianto del 48. «Mai più Bicamerali» ha tuonato lex presidente della Rai Zaccaria (Ulivo). «Sconfitto un patto diabolico» ha urlato Manuela Palermi (Pdci).
Certo: cè chi, DAlema in testa, rileva che a questo punto «occorre un confronto serio sul futuro del paese». Anche Prodi è intervenuto sostenendo la necessità di aprire un dialogo su riforme e e legge elettorale con le opposizioni, stoppando la tentazione di voti a maggioranza. Ma con chi lo organizzano il confronto se tra le loro schiere aumenta di ora in ora il numero di chi rifiuta di voler prendere in considerazione un tavolo di trattativa? Che ci sia bisogno di riforme arriva a dirlo addirittura Oscar Luigi Scalfaro che prima della chiamata alle urne girava per la penisola rispolverando i suoi «non ci sto!». Adesso, a urne chiuse, suggerisce di deporre «odii e polemiche». Ma come, visto che dal centrosinistra partono solo mugolii di gioia per aver abbattuto il progetto del centrodestra e secchi veti a cambiare la gloriosa carta nata dalla Resistenza? Persino Fassino, ebbro del 61 e passa per cento, esulta per il fallimento del «tentativo di chi voleva sfasciare» il sistema, vedendo addirittura come «strumentale e infondata» la tesi di chi vuole il Nord egemonizzato dal centrodestra. Pare quasi essersi scambiato di posto col vecchio Cossutta che, da inflessibile cultore della Carta, ieri - dopo lettura del voto - ha convenuto che «il Nord dovrebbe far riflettere...».
Cè poco spazio, almeno al momento per le mediazioni. «Perduta una occasione irripetibile» va ripetendo Peppino Calderisi, patron del comitato per il sì. Non crede che ce ne sarà unaltra, diversamente da Bossi: «Si va avanti comunque», dice ai suoi dopo un lungo silenzio rotto appena da un imperdonabile assolo di Speroni («Gli italiani fanno schifo! LItalia fa schifo!»). Il Senatùr non ha intenzione di mollare sul federalismo e, a quel che si capisce, anche sullappartenenza alla Casa della Libertà: «La CdL? - afferma del resto Calderoli - Va rivista su nuove basi».
Trovare intese: a sinistra qualche leader lo intona come un refrain. Rutelli ammette che occorre «riformare assieme», ma come può dialogare con i leghisti se, giusto al suo fianco, Parisi parla di «messa a verbale da parte del popolo di un chiaro no a un disegno eversivo»?
«La palla passa al centrosinistra» osserva DOnofrio, forse perché la sua Udc era molto tiepida sulla riforma e in quanto il segretario Cesa ammette la necessità di «impegni congiunti». Ma ancora Calderoli, dopo riunione con Bossi, scarta decisamente lidea: «Fare le riforme con la sinistra è difficile».
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