Non basta il mago Potter

Sebbene Harry Potter sia accreditato di poteri magici, nessuno crede che Marco Follini riuscirà come un eroe solitario a salvare il governo Prodi da se stesso. Ci vuole altro, occorrono altri transfughi da comprare alla fiera dell’Est ed è per questo, che in tale drammatico frangente, a ridosso di Palazzo Madama, si è attivato, sotterraneo e alacre, un suk politico in cui certi padri coscritti sono corteggiati come baiadere di gran pregio. Il trasformismo, antico vizio italiano e non solo, è duro a morire. Resiste a tutto – riforme, transizioni, cambi di passo – tranne che alle tentazioni. E tutti i trasformisti, anche Marco Follini, nel momento in cui saltano il fosso assumono l’atteggiamento dei martiri: non vanno verso il potere, no, si sacrificano per il bene comune, per la Patria, per il Paese, per l’Idea, per la Libertà di figli e nipoti. Sì, loro escono dal limbo dell’opposizione, trovano amici e incarichi nuovi, ma ci pregano di credere che soffrono molto.
Preveniamo i sapientoni e gli esperti di diritto costituzionale: sappiamo perfettamente che il mandato degli elettori non è imperativo né vincolante, ma un minimo di decenza impone – prima e al di là della legge – un certo rispetto della volontà di uomini e donne senza volto, ma con anima e idee, che nel segreto dell’urna hanno votato, talvolta con lo spirito di chi lancia in mare un messaggio in una bottiglia. Par quasi di vederli e di sentirli gli elettori di Marco Follini, vicepremier emerito nel governo Berlusconi. Hanno reso possibile l’ascesa del cattolico pensoso, vigile sentinella dei moderati e se lo ritrovano nel campo dei rappresentanti organici degli «antagonisti». Te lo dò io il popolo sovrano.
Non è il primo caso di trasformismo e non sarà l’ultimo. L’armata di Prodi, poi, è così forte e invincibile che già dieci anni fa dovette racimolare un po’ di transfughi dal centrodestra: è addestrata alla compravendita di sostegni democratici. Ed è anche questo che rende più amara la delusione degli ex amici e sostenitori di Marco Follini.
Per molti reduci e orfani della Democrazia cristiana, il bipolarismo fortemente voluto dal Cavaliere ha svolto la funzione del Wwf, nel senso che li ha salvati dall’estinzione. E infatti qualche tempo fa erano tutti bipolaristi, alleati di ferro, poi a poco a poco il miraggio del «grande centro» li ha indotti a dubitare e in qualche caso a ricadere nei vizi della democristianeria. Certi salti della quaglia riportano ad anni passati, quando la Dc prendeva voti anche a destra e se li giocava a sinistra in nome della centralità del Parlamento e in barba al popolo sovrano.
Sta tornando di moda essere contro il bipolarismo, ma c’è un piccolo problema: il corpo elettorale si è abituato all’idea che le sue decisioni possano riflettersi direttamente e rapidamente nella formazione di un governo. Che abbia coesione e numeri, s’intende. Il trasformismo può far aumentare un po’ l’astensionismo – perché certi spettacoli sono tristissimi – ma non indurrà gli elettori a tornare in una condizione di minorità.
Marco Follini, ad ogni modo, non ha fatto tutto da solo. Risaltano, in questa storia, le responsabilità politiche e morali di Romano Prodi e dei leader della Margherita e della Quercia. Anche lorsignori si definiscono bipolaristi inossidabili, ma come sanno tanti elettori pure loro mentono. Sono così bipolaristi da cercare disperatamente transfughi arruolabili, una pratica, questa, lontana mille miglia dal bipolarismo. Se la maggioranza non c’è, si rivota, non sono ammesse code finte. Anche perché non si rispettano l’etica e la serietà in politica – questa era addirittura la pretesa di Prodi & C - trattando nel suk del sottopotere.
Ma Prodi piace in certi ambienti.

Ieri mattina Edmondo Berselli su Repubblica ha scritto: «...la sopravvivenza o il rientro in gioco del governo Prodi costituiscono anche l’ultimo diaframma a difesa dello schema bipolare». Già, il bipolarismo alla mortadella.

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