Non esistono vite insensate. La lezione di Luigi Giussani

Torna "Il senso religioso" con prefazione di Bergoglio. Un libro non solo (e non tanto) per chi è credente

Non esistono vite insensate. La lezione di Luigi Giussani

A ottocento metri precisi da casa mia c'è un cassonetto dove, due giorni fa, è stato trovato un bambino morto. Lo so che devo parlare di questa nuova edizione de Il senso religioso (Bur-Rizzoli) di Luigi Giussani, introdotta dalle parole di Jorge Mario Bergoglio. Ma il pensiero continua a correre a quel bambino. Nessuno saprà mai, temo, come si chiamasse, se i suoi disperati genitori avessero in mente un nome da dargli: credo di sì, altrimenti l'avrebbero eliminato prima della nascita, che è comunque un delitto, ma senza disperazione. Penso a quel bimbo e ai suoi genitori, e la domanda che mi pongo è una sola: un uomo è questa cosa?

Il giovane sacerdote Luigi Giussani, trentadue anni, nel 1954 inizia a insegnare religione al Liceo Statale G. Berchet di Milano. Gli è già stato annunciato un avvenire radioso. Potrebbe diventare un grande teologo, o un grande antropologo. Invece decide di entrare nella scuola pubblica e sfidare una mentalità che vede affermarsi nel cuore di una società dove per il cattolicesimo tutto sembra andare a gonfie vele.

Poteva diventare un grande teologo, e dire cose straordinarie su Dio. Oppure diventare un grande antropologo, e dire cose straordinarie sull'Uomo. Ma il verso di un Salmo lo incalzava: che cos'è un uomo, che di lui ti ricordi? Non l'Uomo in generale, non l'Umanità, ma quest'uomo che incontro sul treno, in ospedale, all'ufficio postale, al bar, al cimitero. Non c'era nessuna crisi di valori all'orizzonte, ma sia la società che la Chiesa avevano smarrito dai loro radar la persona umana, quella che, secondo il catechismo, risorgerà un giorno con il suo naso troppo lungo, le sue gambe storte, la sua balbuzie, e glorificherà Dio.

Proprio come quel povero bambino, morto e gettato in un cassonetto. Una realtà cancellata, dimenticata, obliterata. Questo accade oggi, ma le sue premesse c'erano già a quel tempo. Nei trionfi della Chiesa si stava perdendo il senso dell'uomo, per questo il giovane prete Luigi Giussani andò a fare l'insegnante e da lui nacque, senza che egli se lo fosse mai proposto, il movimento di Comunione e Liberazione.

Oggi, a cent'anni dalla nascita di questo genio umile e instancabile, la domanda che ci si pone è la stessa di un tempo: che cos'è un uomo, che di lui ti ricordi? Giussani non intese mai proporre una nuova concezione del cristianesimo, e nemmeno recuperare la struttura delle comunità cristiane primitive. Quello che intese dire ai ragazzi del liceo Berchet, rispondendo alle loro obiezioni moderne (può un uomo di oggi credere sinceramente nella Resurrezione?, si domandava Dostoevskij), era ciò che aveva imparato da sua madre, da bambino, e che sua madre aveva appreso dai suoi genitori, dal suo parroco, e così via, di generazione in generazione, fino a quell'avvenimento - il Verbo fatto Carne - da cui ebbe inizio l'avventura cristiana.

Avrebbe potuto scrivere trattati importanti sulla condizione umana, sulla morale, sulla grande letteratura, perfino sulla fede, invece decise che le sue parole sarebbero state importanti solo come risposta puntuale e persuasiva agli interrogativi drammatici e spesso tragici che l'età giovanile non aveva ancora la forza di nascondere dietro qualche maschera (successo, denaro, prestigio ecc.).

Non discorsi, ma un continuo corpo-a-corpo con le domande che scaturivano, imprevedibili, dalla vita. CL non nacque per iniziativa di don Giussani, ma di un gruppo sempre più grande di giovani che, da un certo momento in poi, si accorsero di non poter più prescindere dal rapporto con quell'uomo.

Da qui la forma strana di questo libro fondamentale, Il senso religioso. Fondamentale non per i cristiani, ma per tutti. Non un libro su Dio, segnala papa Francesco nella sua introduzione, ma un libro sull'uomo, perché l'uomo - questo uomo, questo ragazzo, questo bambino ucciso - è il grande tema.

«Il senso religioso» scrive Bergoglio «non è un libro a uso esclusivo di coloro che fanno parte del movimento; neppure è solo per i cristiani o per i credenti.È un libro per tutti gli uomini che prendono sul serio la propria umanità. Oso dire che oggi la questione che dobbiamo maggiormente affrontare non è tanto il problema di Dio l'esistenza di Dio, la conoscenza di Dio , ma il problema dell'uomo, la conoscenza dell'uomo e il trovare nell'uomo stesso l'impronta che Dio vi ha lasciato perché egli possa incontrarsi con Lui».

E questa impronta sono le domande insopprimibili, che si attaccano alla radice stessa del suo essere, al suo cuore: Chi sono io?, perché vale la pena di vivere?

«Uno dei problemi» scrive Bergoglio «della nostra cultura da supermercato che presenta offerte alla portata di tutti per tranquillizzare il cuore è il dare voce a queste domande del cuore. Questa ela sfida. Di fronte al torpore della vita, a una tranquillità offerta a poco prezzo da una cultura da supermarket (anche se estremamente variata nelle sue forme), la sfida consiste nel rivolgere a noi stessi i veri interrogativi riguardo al significato dell'uomo, alla nostra esistenza, e nel dare risposta a queste domande».

La Chiesa, denuncia il Papa, smarrisce il proprio compito e il proprio senso se riduce la fede a una pratica devozionale.

Mi permetto di specificare che della pratica devozionale fanno parte anche tutti quei discorsi «religiosi» che evitano lo scontro della fede con gli aspetti duri e spesso incomprensibili della vita.

Di fronte a una madre che perdeva il figlio don Giussani non rispondeva con un discorso consolatorio, o parlando dei disegni imperscrutabili di Dio: rispondeva con il dolore, le lacrime e un abbraccio. Non è di questo abbraccio, di questo bacio che tutti noi abbiamo bisogno?

Abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a stare di fronte alla realtà in modo semplice e sano. Noi abbiamo paura della realtà, oppure vogliamo dominarla a nostro piacimento. Ma la realtà non è un mostro da cui fuggire, né qualcosa a cui rassegnarsi o in cui cercare lo specchio di quello che vogliamo essere: è la via maestra (come Virgilio per Dante), la radice della ragione umana, che è essenzialmente questo: un'apertura, uno spalancamento alla realtà tutta intera. Solo così la nostra fragilità si spalanca e ci si ritrova uomini adulti.

E questa è la prima cosa di cui abbiamo bisogno. Ma per realizzarla occorre compiere un cammino. Il tempo in cui viviamo urla che non c'è tempo per le tappe, per i cammini: bisogna avere tutto subito, o fai la differenza subito o non esisti.

Questo è l'orrore nel quale si perdono le vite umane, i bambini.

Perciò, oggi più di ieri, è di un abbraccio che abbiamo bisogno, è dentro un abbraccio senza discorsi che il cammino si può compiere. Questo è ciò che, dal primo all'ultimo istante della sua vita, ha cercato di fare don Giussani.

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