Nord targato centrodestra: l’alleanza con la Lega abbatte i santuari rossi

I partiti di governo più forti degli attacchi quotidiani al Cavaliere e dell’astensionismo

Roma - Solo per una manciata di ore il testa a testa alla Provincia di Milano tra Guido Podestà e Filippo Penati offusca l’ennesima battuta d’arresto del centrosinistra. Che arretra su scala nazionale, continuando a consegnare a Pdl e Lega Province che amministrava anche da più di un mandato, ma annaspa soprattutto al Nord dove la débâcle è quasi totale. Con Dario Franceschini che rischia d’essere un po’ grottesco quando parla di «risultato positivo» e «per certi versi inaspettato». Dopo il fuoco di fila dell’ultimo mese contro Silvio Berlusconi, infatti, il Pd si trova costretto ad arretrare sotto la soglia del Po, consegnando al sempre più solido asse tra Pdl-Lega le zone più produttive del Paese. Non è solo Milano, infatti, a cambiare colore. Ma pure le Province di Venezia, Belluno e Savona. Dove il copione è esattamente lo stesso che due settimane fa ha portato il centrodestra a conquistare Biella, Novara, Verbano, Bergamo, Lecco e Lodi. Al Nord, insomma, il Pd si limita a resistere a Torino, Alessandria e Rovigo ma nei fatti è costretto a ritirarsi nelle roccheforti rosse sugli Appennini.

Una débâcle, anche e soprattutto al netto di due elementi non certo di poco conto. In primo luogo, l’attacco ormai quotidiano a cui è sottoposto il Cavaliere, che in queste ultime settimane se l’è dovuta vedere con il j’accuse di Veronica Lario, la querelle sulla presunte veline in lista, la sentenza Mills, il caso Noemi, l’inchiesta sui voli di Stato, le fotografie a Villa Certosa e infine le rivelazioni di Patrizia D’Addario. In secondo luogo, un deciso calo dell’affluenza che - sostengono a via dell’Umiltà - ha colpito come al solito più nell’elettorato di centrodestra. Nonostante tutto questo il Pd non è riuscito a portare a casa nulla, la dimostrazione - spiega Osvaldo Napoli - che «il tentativo di spallata mediatico-gossipara è andato a vuoto».

Una tornata amministrativa, dunque, che al Nord conferma la solidità dell’asse tra Pdl e Lega, con il Popolo della libertà che resta primo partito in tutte le regioni sopra il Po ma con il Carroccio che dimostra ancora una volta di essere determinante. Non solo numericamente ma anche come capacità di attrarre consensi sui suoi candidati. Sia a Venezia che a Belluno, per capirci, sono stati due leghisti a sancire i ribaltoni delle Province venete: Francesca Zaccariotto e Gianpaolo Bottacin. E sempre la Lega ha dato un deciso contributo all’inversione di tendenza in Piemonte. Dove il Pd governa sì la Regione, ma in questa tornata amministrativa ha ceduto ben tre Province (Biella, Novara e Verbano) che insieme alla conferma di Cuneo spostano la bilancia piemontese decisamente a favore del centrodestra. Con Roberto Cota che festeggia soddisfatto l’elezione di Claudio Corradino a sindaco di Cossato, comune del Biellese di 15mila abitanti. Una «vittoria storica» non certo per la valenza strategica della cittadina, quanto perché dal dopoguerra era sempre stata amministrata dal centrosinistra.

Il Carroccio, insomma, ci tiene a sottolineare la sua potenza di fuoco. Tanto che quando Cota dice che «sulla Provincia di Torino è mancato qualcosa per centrare un successo che probabilmente era a portata di mano» sono in molti a leggere tra le righe del fair play e tornare con la mente a quando la Lega spingeva per la candidatura di Elena Maccanti al posto della sconfitta Claudia Porchietto. Un nome, è la convinzione di molti dirigenti del Pdl piemontesi, su cui il Carroccio «non si è speso fino in fondo». Un po’ come è accaduto a Podestà che - fanno notare gli stessi dirigenti - a Milano se l’è «dovuta sudare fino all’ultimo». La verità forse sta nel mezzo, un po’ perché è vero che un leghista avrebbe avuto forse più presa su un elettorato prevalentemente di centrosinistra come quello di Torino e dintorni, un po’ perché il fatto che i sostenitori del Carroccio digeriscano malvolentieri candidature non doc (cioè degli alleati) non è una novità di questa tornata amministrativa (ne sa qualcosa Ombretta Colli che cinque anni fa dovette cedere il passo al ballottaggio proprio a Penati).

Al netto di quella che più volte Berlusconi e Bossi hanno definito una «leale competizione», dunque, l’asse Pdl-Lega tiene e si rinsalda. Con il premier che porta a casa un successo importante da opporre agli «attacchi eversivi» delle ultime settimane, scacciando le ombre di chi in questi giorni ha iniziato a ipotizzare possibili «governissimi», e il Senatùr che incassa soddisfatto il fallimento del referendum nonché la conferma del ruolo strategico del Carroccio. Un risultato che non dovrebbe avere troppe conseguenze sull’azione di governo ma che va letto soprattutto in chiave futura. Fra un anno si gioca la partita delle regionali e a via Bellerio sono più che decisi a chiedere due candidati governatori tra Lombardia, Veneto e Piemonte.

Una trattativa che sarà lunga e complessa ma che dopo questa tornata amministrativa Bossi ha certamente più chance di portare a casa. Nonostante sulla questione i dirigenti della Lega - anche off record - preferiscano trincerarsi dietro un prudente e forse un po’ democristiano «no comment».

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