Oggi Sudafrica-Figi, sfida dell’altro mondo

Dopo Dan Carter è il miglior numero 10 al mondo. Parola di Nick Mallett, il futuro allenatore azzurro. In materia di numeri 10, gli argentini sono abbastanza ferrati. Ma oggi il dio non è più Diego Armando Maradona. Si chiama Juan Martin Hernandez. Gioca con lo Stade Francais. Professione apertura anche se con il suo club il dieci sulle spalle non lo porta spesso. In compenso lo ha tatuato sulla pelle quando indossa la maglia dei Pumas. È stato tra i grimaldelli che hanno permesso al quindici di Loffreda di scardinare la cassaforte francese nella partita inaugurale che di fatto ha cambiato le gerarchie di questo mondiale.
A Buenos Aires per un attimo il calcio si fa da parte: di scena c'è il rugby. Boca Junior e River Plate spostano addirittura l'orario di inizio del derby proprio perché a Parigi i Pumas questa sera cercano di conquistare un pezzo di storia. Hernandez è l'antidivo, come del resto lo sono un po' tutti questi argentini. Per Nick Mallett assomma le caratteristiche dell'ideale numero 10: veloce e efficace in difesa. Calcio esplosivo ma soprattutto un modo di giocare che sembra mettergli davanti tempo e spazio in abbondanza. Doti che sembrano ereditate da uno zio che fece carriera nell’Argentina del pallone proprio come riserva di Maradona: Patricio Hernandez, un piccolo talento che in Italia illuse i tifosi del Torino e dell’Ascoli.
L’Hernandez ovale, invece, è una delle chiavi del successo argentino a Francia 2007. Anche se il vero segreto va trovato soprattutto nelle motivazioni che il gruppo argentino è capace di trovare dentro lo spogliatoio. E' un gruppo granitico quello allestito dal futuro coach del Leicester Marcelo Loffreda. Capace di abbandonare un terzo tempo perché al tavolo siedono dirigenti poco graditi. È un gruppo in cerca di una costante rivincita. È una rivoluzione che cerca soprattutto Agustin Pichot, il capitano di questa Argentina che sulla soglia della storia, ricorda un rugbysta che non ti aspetti: Ernesto Guevara de la Serna Lynch. Radici irlandesi, cuore argentino. Impossibile sottrarsi all'ovale. Oltre ad aver giocato, il Che aveva anche scritto di rugby firmandosi con lo pseudonimo di Chang-Cho. Pichot, nato nello stesso quartiere del Che lo ricorda: «Vedo un collegamento diretto tra lui e noi, nel modo di amare il rugby, tra il suo desiderio di veder cambiare le cose, e la nostra voglia di affermarci in un mondo dominato da certi eccessivi conservatorismi. D'accordo, il suo sogno era quello di veder cambiare la società. Il nostro è solo quello di essere trattati alla pari degli altri. Credo che oggi, nel vedere i nostri successi, si sarebbe divertito anche lui».
Giocava centro, il Che.

Alla stessa maniera di Felipe Contepomi, anche lui sbarcato in Europa per diventare una delle bandiere della provincia irlandese del Leinster. Stasera dopo aver battuto Francia e Irlanda, tocca alla Scozia. Di prenotare il volo di ritorno non se ne parla. Aspettano solo il biglietto per la semifinale.

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