Roma - Tutti assolti per la seconda volta. La prima Corte d’Assise d’Appello di Roma ha confermato l’assoluzione per Flavio Carboni, Pippo Calò ed Ernesto Diotallevi, imputati di concorso in omicidio volontario premeditato in relazione alla morte di Roberto Calvi, l’ex presidente del vecchio Banco Ambrosiano, trovato impiccato sotto il Ponte dei Frati Neri, a Londra, il 18 giugno del 1982. In aula, al momento della sentenza letta dal presidente Guido Catenacci dopo oltre tre ore di camera di consiglio, c’era soltanto Ernesto Diotallevi. Calò, detenuto ad Ascoli Piceno, era collegato in videoconferenza. Assente, invece, Carboni, che pure aveva seguito tutte le udienze del processo d’appello. La Corte oggi ha accolto le richieste di assoluzione che erano state avanzate dagli avvocati Corrado Oliviero per Calò, Renato Borzone e Anselmo De Cataldo che hanno assistito Carboni e Carlo Taormina che ha difeso Diotallevi.
La vicenda La sentenza è stata emessa dopo oltre tre ore di camera di consiglio dal primo collegio presieduto da Catenacci. La sentenza di oggi conferma, quindi, quella emessa in primo grado il 6 giugno 2007. Il rappresentante dell’accusa, Luca Tescaroli, aveva chiesto la condanna all’ergastolo dei tre imputati per l’omicidio dell’ex presidente del Banco Ambrosiano trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri. Dalla vicenda erano già usciti di scena, con sentenza di assoluzione passata in giudicato, Silvano Vittor e Manuela Kleinzing. L’accusa per Carboni, uomo d’affari, Calò, ex cassiere della mafia, e Diotallevi, già coinvolto in indagini sulla banda della Magliana, era quella di aver organizzato la morte di Calvi, in concorso tra loro e con altri non ancora identificati, avvalendosi delle organizzazioni criminali di tipo mafioso "per punirlo di essersi impadronito di notevoli quantitativi di denaro appartenenti alle organizzazioni criminali".
Da suicidio a omicidio Inizialmente la morte era stata archiviata come suicidio dalla procura di Milano. Nel 1992, però, la Cassazione decise il trasferimento dell’inchiesta dal capoluogo lombardo a Roma, la cui procura venne in possesso di nuovi elementi per aprire una nuova indagine per omicidio volontario e premeditato. Nel 1997 il gip del tribunale di Roma, Mario Almerighi, emise un’ordinanza di custodia cautelare con l’accusa di omicidio a carico di Calò e Carboni come presunti mandanti del delitto Calvi. L’ipotesi dell’accusa era che Calvi fosse stato ucciso da Cosa Nostra perché impossessatosi dei soldi del pidduista Licio Gelli e dello stesso Calò.
Nel 1998 Otello Lupacchini, il gip del tribunale di Roma subentrato ad Almerighi, ordinò una nuova perizia sulle cause della morte di Calvi. Fu questa perizia a stabilire che l’ex presidente del Banco Ambrosiano non si suicidò ma fu invece assassinato. Nel settembre del 2003 la polizia britannica ha riaperto il caso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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